Articolo pubblicato il 4 maggio 2015 su QN (Carlino, Nazione e Giorno)

NON C’È niente di peggio che una festa mal riuscita. E dire che Matteo Renzi, nel tour tra Venezia, Modena, Bologna e Milano, ci ha provato a mettere nel cassetto lo schiacciasassi. Ha teso la mano a Romano Prodi a Marghera e sostenuto il candidato civatiano Felice Casson a sindaco di Venezia. E, notiziona, ha pure abbracciato (virtualmente) Gianni Cuperlo nel giorno di chiusura della Festa dell’Unità di Bologna.
«Il Pd è casa tua», ha scandito il premier al leader di sinistra dem invitato in extremis alla kermesse. Ma la pacificazione è stata, appunto, solo sulla carta. Renzi e Cuperlo non s’incrociano tra stand e bandiere Pd. Tra i 2.500 militanti pronti ad acclamare Renzi e il persistente odore di crescentine, qualcosa è cambiato. «Non si era mai visto. Ci hanno chiuso dentro. Dentro alla nostra festa», dice smarrito un militante. Fuori, non c’è nulla della pax renziana ostentata a favor di telecamera. Tafferugli tra centri sociali e forze dell’ordine all’esterno. E, all’interno, clima da stadio tra ultras renziani e precari della scuola inferociti durante il discorso del premier.

I GIOVANI insegnanti chiedono il ritiro del ddl scuola, mentre lo zoccolo duro della base dem difende il premier. «Tre fischi non mi fermeranno. Cambieremo l’Italia», scandisce Renzi. Ma intanto dentro al suo Pd succede di tutto. Niente a che vedere con lo scontro tra minoranza e maggioranza renziana, liquidato come «scaramucce al vertice» dai militanti. Qui, a Bologna, in quello che fu il cuore del partitone, il verso è cambiato davvero. Ma la colonna sonora di Ligabue ‘Siamo chi siamo’ sparata dagli altoparlanti non c’entra nulla. Lo scontro è di quelli che fanno male. Giovani contro vecchi. Iscritti storici sulla sessantina pro Renzi, giovani imbufaliti contro un «segretario che non è di sinistra». C’è un noi e un loro. In ballo, come sempre, il partito. «Questa è casa mia», dice spazientito un ex Pci. «No, è anche casa nostra – replica un 28enne precario della scuola – e dire che eravate comunisti…». «Sciacquati la bocca, voi non avete fatto un cazz…», la replica. Il clima si surriscalda, mentre oggi si annunciano flash mob e domani lo sciopero di insegnanti e studenti. Renzi risponde a chi urla «ritirooooo» in merito al ddl scuola: «Così saltano 100mila assunzioni». E tira dritto.

SOTTO il palco ci sono Cuperlo, l’ex Sel Gennaro Migliore, l’ex civatiano Taddei con la figlia sulle spalle e il ministro Giuliano Poletti. L’Italicum che oggi va al voto finale alla Camera sembra non interessare granché. E dire che Cuperlo, tra i volontari, prova a spiegare le sue ragioni. Dice che non sa ancora se uscire dall’Aula o votare contro, racconta che il referendum sull’Italicum «non credo che si farà», ma intorno c’è quasi il vuoto. Qualcuno gli chiede notizie di Bersani, mentre una militante chiede al marito: «Cuperlo? Cuperlo chi?».
Il premier non si ferma. E continua la narrazione. «Non faremo come Dorando Pietri. Non molleremo a 100 metri dal traguardo. Possono mandarci a casa, non fermarci».
I suoi fan, a margine, gli urlano «Non mollare». E c’è chi si organizza: «Domani (oggi, ndr) dove brindiamo per l’Italicum?». I due Pd non ascoltano. E non si ascoltano. «Vogliamo cambiarlo o no, questo Paese?». «Lavoro in fabbrica, senza articolo 18 divento schiavo», la risposta. Renzi è già sceso dal palco. Il giro tra i militanti è blindato. «Non era mai successo, neanche ai tempi di D’Alema-premier», si sente bisbigliare mentre i telefonini fremono per l’ennesimo selfie col premier-star. Renzi non esce, per un’ora. «Parla con una delegazione di precari della scuola, avete visto che è di sinistra?», provoca un ex Dc, ex margherita ora renziano. Il Pd, intanto, apre il dibattito come ai tempi della ditta. Vecchi contro giovani. Pensionati contro precari. «È una guerra tra poveri», urla un vecchietto. Renzi vola via. Lo attende la cena alla Fondazione Prada, a Milano.

Rosalba Carbutti

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