Articolo uscito su QN del 2 giugno 2016

Certo, il Pd ha vinto in cinque regioni. Ma, come diceva il Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi. E, infatti, basta leggere l’analisi dell’Istituto Cattaneo di Bologna per capire che, oltre alla sfida (vinta) col centrodestra e i grillini, i dati rivelano ben altro: l’emorragia di voti colpisce tutti i partiti a parte la Lega Nord che, invece, in queste regionali ha guadagnato consensi. Il Carroccio targato Matteo Salvini, infatti, è cresciuto del 50% rispetto alle Europee (+256.803 voti) e addirittura del 109,4% rispetto alle Politiche 2013.
Guardando i dati riferiti al Pd, invece, il bilancio non fa sorridere. Nemmeno a denti stretti. Rispetto alle Europee 2014, quando il Pd prese il famoso 40,8% che campeggiava a ogni festa dem, il Pdr (partito di Renzi) ha perso oltre 2 milioni di voti che, in termini percentuali, significa un -50,2%. Ma la riduzione è significativa anche rispetto alle Politiche 2013, l’anno della «non vittoria» di Pier Luigi Bersani (il Pd prese il 25,4%, ndr). Rispetto alle «percentuali bersaniane» (così le definì Renzi per bollare i detrattori del Partito della Nazione) il calo di queste ultime regionali è di oltre un milione di voti, pari al -33,8%. Certo, si tratta di un’analisi che si concentra sui dati in valore assoluto (numero di votanti, ndr) e che, quindi, risente del calo dell’affluenza. Resta, però, senza risposta una domanda: dov’è finita la capacità del partitone di mobilitare i militanti? Analizzando i dati del Cattaneo sull’astensione, arriva la risposta: il partito del non voto è spesso l’opzione maggioritaria, ma è nelle regioni rosse che la disaffezione è più evidente. I numeri dimostrano un’altra verità: tutti i partiti hanno perso consensi. Il Movimento 5 Stelle quasi 2 milioni di consensi in confronto all’exploit delle politiche e quasi 900mila voti in meno rispetto alle Europee: rispettivamente, quindi, un -59,8% e un -40%. Molto peggio va a Forza Italia nonostante la vittoria in Liguria e la buona tenuta in Campania. Berlusconi ha ceduto quasi 2 milioni di voti rispetto al 2013 (-67%) e oltre 840mila consensi in confronto al 2014 (-46,9%). Ma se si guardano i flussi, regione per regione, l’analisi di vincitori e vinti si fa più precisa.
Prendiamo la Liguria, vero laboratorio di queste regionali. La candidata dem, Raffaella Paita, sconfitta dal forzista Giovanni Toti, ha dato tutta la colpa alla sinistra-sinistra di Luca Pastorino, il civatiano che smarcandosi dal partito ha ottenuto 9,4 dei voti. La ‘Lella’ ha ragione? Secondo l’analisi dei flussi di Swg il «bertinottismo» ha rubato al Pd solo il 4% su una perdita di consensi del 12,9%. Ergo, anche senza la ‘scissione’ a sinistra, Paita avrebbe raggiunto al massimo il 34%, ben tre punti sotto Toti. Risultato che non cambia anche sommando in dati assoluti i voti dei partiti della Paita con quelli di Pastorino: 199mila voti contro i 203mila dei centrodestra. A incidere, più dei «gufi» rossi, l’astensione che ha fatto perdere al Pd al pesto un 6,2%. Interessante, invece, capire dov’è andato a finire il 3,7% dei voti perso dai grillini in Liguria: il 2,9% a Pastorino e il 2,3% alla Lega. Come a dire: chi molla il M5S non converge nel Pd, ma va agli estremi.

ALTRO CASO esemplare è il Veneto. Qui, i dem, rispetto alle Europee, perdono il 17%: il 4,4% drenato dalla lista Zaia, scalfito dalla scissione di Flavio Tosi solo per un 2,5%. Morale: la Lega ha portato a casa 736mila voti a fronte dei 364mila delle Europee, mentre Forza Italia si è sgretolata, fermandosi a 106mila consensi (352mila alle Europee).
Analizzando i flussi Swg sulle sette regioni, la tendenza è chiara: la Lega guadagna voti quasi ovunque, rubando consensi agli azzurri. L’Istituto Cattaneo (elaborando i dati su 5 Regioni) ha poi calcolato il rapporto di forze: la Lega vale il doppio di Forza Italia (67% a 33%). Meno male (per gli azzurri) che Toti c’è.
Ma la resa dei conti sulla leadership del centrodestra è sempre all’ordine del giorno.

Rosalba Carbutti

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