Dicono che, quando qualcosa non va nel Pd, bisogna fare attenzione ai segni. E, i segni, ora, hanno un nome e cognome: Matteo Orfini. L’ex dalemiano, oggi presidente del Pd renziano, si sta muovendo (e non poco). Il motivo è semplice: Matteo Renzi non è più ‘onnipotente’. Ergo, tra i dem, è tutta una corsa a posizionarsi nel modo migliore possibile per non farsi male in caso di sconfitta del premier al referendum. E chi eccelle (a parte Dario Franceschini) in questo sport? Orfini, naturalmente, che ieri ha dato giusto giusto un assaggino in un’intervista al ‘Fatto’: «Renzi non l’ho mai votato in nessun congresso. E non è detto che lo voti nel prossimo».
Del resto, Orfini non è nuovo ad ardite giravolte. Romano, 41 anni, ha iniziato a far politica al liceo della sinistra della Capitale, il Mamiani, iscrivendosi poi alla facoltà di Archeologia (senza laurearsi).
Per quattro anni segretario della sezione Mazzini, quartiere Prati di Roma, connobbe Massimo D’Alema, di cui diventò assistente parlamentare e portavoce, mollando gli scavi. Del lìder Maximo imparò le arti della politica, ma pure l’intercalare «diciamo» e il modo di fare sarcastico. Ciò nonostante, con lui ruppe definitivamente (D’Alema lo considera un traditore). Poi, dopo la sconfitta di Pier Luigi Bersani alle politiche del 2013, Orfini non ebbe scrupoli a salire (al momento giusto) sul carro del rottamatore. Anche qui, abbracciando vizi e virtù. Dal biliardino alle feste dell’Unità alla partita alla play station con Renzi (nel 2015): tutto twittato in tempo reale come impone lo storytelling del Matteo di Rignano.

PECCATO che nel 2012, quand’era saldamente nel gotha della Ditta, Orfini lo criticasse aspramente: «Le ricette di Renzi sono vecchie e non sono quelle giuste per il Paese». E ancora: «Dire il liberismo è di sinistra, dire Marchionne senza sì e senza ma, dire non me ne frega niente dell’articolo 18 è mettersi in scia esattamente con quelli che vuole rottamare». Poi, addirittura, il 29 marzo 2013: «Folle l’ipotesi di una candidatura di Renzi»; «Io e lui siamo agli antipodi» e via così. Poi, passano i mesi e gli eventi. Letta cade, Renzi diventa segretario del Pd e premier. Ed ecco, la metamorfosi di Orfini. (Stra)vinte le Europee, l’ex dalemiano modera i toni. E comincia, lemme lemme, a salire sul carro: «Vinciamo grazie a Renzi»; «Il fatto che il segretario del partito sia a palazzo Chigi rende più forte il governo» eccetera. Sarà un caso, ma un mese dopo, viene nominato presidente del Pd.
Oggi, dopo due anni fianco a fianco, il malessere nel partito di Renzi aumenta. E Orfini che fa? Piccona. Dove? Proprio sul ‘giornale nemico’, il Fatto quotidiano. Un caso. O l’ennesimo avvertimento-giravolta.

 

Articolo pubblicato il 9 agosto 2016 su QN

Rosalba Carbutti

Twitter@rosalbacarbutti

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