Emanuele Macaluso con Giorgio Napolitano

«Matteo Renzi si convinca a fare il congresso. Solo così salverà il Pd».
Per Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci, direttore di diversi giornali, molto vicino a Giorgio Napolitano, il segretario dem non ha altre alternative.
Insomma, è accerchiato?
«I 41 senatori che hanno chiesto di andare a votare nel 2018 sono un segnale forte. In quel gruppo c’è anche un bel numero di parlamentari della maggioranza renziana…».
Renzi è finito?
«Non è più il collante della maggioranza del partito. Dopo la sconfitta al referendum, non è riuscito a proporre una controffensiva».
Risultato?
«Ormai è acclarato: il Pd non è un partito, ma un aggregato politico elettorale al servizio di un capo. Ma dopo che il 4 dicembre ha vinto il No qualcosa è cambiato: il Pd non è più il PdR, il partito di Renzi».
Crede che lunedì Renzi si dimetterà alla direzione del Pd?
«Non so che cosa farà. Ma di certo a elezioni non si andrà e il leader dem non potrà tentare la sua rivincita».
Non resta che il congresso. A chi conviene?
«A tutti, anche a Renzi. Evita la scissione. Si sa che le frantumazioni a sinistra non hanno mai portato qualcosa di buono».
Massimo D’Alema sulla scissione sembra aver cambiato idea.
«D’Alema sembrava il più agguerrito, ma adesso ha fatto una bella marcia indietro».
C’è un candidato in grado di sfidare Renzi al congresso?
«Non vedo gran contendenti. D’Alema per storia e cultura è quello che ha più stoffa, ma ha una responsabilità seria su quello che è successo nel centrosinistra. Morale: non può essere il punto di riferimento di tutti. Pier Luigi Bersani lo stesso».
Ci sono Roberto Speranza, il governatore toscano Enrico Rossi e quello pugliese Michele Emiliano…
«Se si presentano così frantumati, vincerà Renzi di sicuro».
Magari potrebbero convergere tutti su Emiliano…
«Ma no, è inaudito. Un magistrato che non si è dimesso, ma è in aspettativa, segretario di un partito… andiamo. Eppoi con la sinistra non c’entra proprio niente».
E se corresse il ministro della Giustizia Andrea Orlando?
«Lui è un giovane che ha una storia, una visione, come ministro sta facendo un buon lavoro. Senza dubbio è un profilo candidabile. Poi c’è Dario Franceschini che l’ala che viene dalla Dc vorrebbe di nuovo come segretario del Pd».
In questo quadro c’è anche il Campo Progressista di Giuliano Pisapia.
«Un’ottima iniziativa perché raduna la sinistra che non si riconosce né nel Pd, né nella sinistra radicale. Certo, è necessario un premio di coalizione, uniformando le leggi elettorali di Camera e Senato».
Il progetto di Pisapia è organico a quello di Renzi?
«Non lo so. Il segretario Pd vuole unirsi al Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Se si vuole rifare il centrosinistra, già si parte con una contraddizione linguistica».

Dall’alto della sua età vede analogie tra questi leader e questo partito democratico con le vicende della sinistra del passato?
«No. Il Pci e il Psi erano partiti. Il Pd non lo è. Come non lo sono i 5 Stelle e le varie sigle della destra. La democrazia è organizzazione, non improvvisazione».

 

Intervista pubblicata su QN l’11 febbraio 2017

Twitter: @rosalbacarbutti

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