Poco ‘grand’ il National…
Montepremi, glorie, glamour e giri d'affari a parte, ovvio. Il Grand National è una corsa pazzesca, tra quelle di steeplechase la più famosa d'Inghilterra e forse tra le più prestigiose al mondo. Corrono grandi cavalli montati da grandi fantini, fuori pista ci sono grandi trainer, infinito il pubblico in delirio sugli spalti, scommesse certo, grandi soldi che girano tra i cappelli e foulard delle signore. Soldi, adrenalina e mondanità. E comunque soldi. Se ogni anno muoiono in modo agghiacciante meravigliosi e giovani cavalli - digitate su google 'List of equine fatalities in the Grand National'... - che importa? Dopo poco è tutto dimenticato, sepolto velocemente da altre notizie, altre immagini, altri video. Ma gli scatti che immortalano quegli animali io non li riesco a dimenticare: inginocchiati sull'erba con arti girati, fratturati, oppure infilzati nel verde, con la testa che scompare all'ingiù e il collo spezzato. E ammiro chi porta avanti, e da anni, battaglie per cambiare anche qui le cose, per non dimenticare di ricordare.
Quanti morti in tutto? Quasi 70. Il primo nel Grand National datato 1839. E di fianco alla lunga lista che citavo sopra nello spazio 'note' ci sono scritte, non per tutti i cavalli, le cause del decesso. Alla maggior parte di loro è stata praticata l'eutanasia per le fratture riportate dopo rovinose cadute. Altri sono collassati... beh, una corsa su oltre 7 chilometri mette alla prova anche i grandi atleti. E poi, conosciamo l'emotività dei cavalli. Allora mi chiedo, quanto alta può essere l'adrenalina in un evento come quello? Alimentata dal delirio del pubblico, la tensione di tutti quei fantini, che un po' meno dei cavalli ma la vita su quel percorso la rischiano, quella degli scommettitori. Nell'aria le emozioni convulse di migliaia di persone, chi perde chi vince, chi rimane vivo e chi muore. Il cavallo l'assorbe tutta quella nube invisibile.
E mi ha stretto ulteriormente il cuore la storia di uno dei due cavalli morti quest'anno. Si chiamava Synchronised e a quell'appuntamento non ci voleva andare. Prima di iniziare la corsa, riportava il Daily Mail, aveva disarcionato il suo fantino ed era corso via. Ma il veterinario che l'ha poi visitato e il suo proprietario hanno dato comunque l'ok perché partecipasse alla gara. Ed è andata così. Il fantino è caduto insieme al cavallo nel famigerato ostacolo Becher's Brook (dei 16 in pista è quello dove sono morti più cavalli, 16 in tutto) continuando poi a correre da solo. Ormai era arrivato all'appuntamento e non poteva più tirarsi indietro e si è avvicinato a quell'erba verde con il muso, cinque ostacoli dopo. Le belle gambe, lunghe, sottili e muscolose, rotte. Soppresso, poco dopo.
E allora mi fa un piacere misto a imbarazzo sentire il proprietario del cavallo che invece l'ha vinto questo Grand National dire che ora non correrà più e che "ha ringraziato Dio quando è uscito sano e salvo dall'ultimo salto". Ora basta, Neptune Collonges (questo il nome del cavallo campione) ha concluso la sua carriere in gloria e farà in futuro solo qualche caccia alla volpe. Si trova a casa, è stato festeggiato da 400 persone e quelle a lui più vicine hanno detto che è in perfetta forma.
Ma mi chiedo... Se qualcuno ama davvero il proprio cavallo può fargli correre consapevolmente un rischio del genere unicamente per soldi e gloria? Quello che io mi rispondo, alla fine e dopo i 'ma' e i 'però' di alcuni ragionamenti, è chiaro. No.