Questione di modi (e fini)
Sta scemando, almeno sui media, lo scandalo della carne equina, non dichiarata in etichetta, scoperta in tutta una serie di prodotti confezionati. L'Horsegate, per dirlo con una parola che ne chiarisce il respiro internazionale. Nelle lasagne, più in genere nel ragù usato in vari prodotti, poi ancora polpette e ora anche olive all'ascolana. Il 'fastidio', o la preoccupazione, non è tanto nel fatto che sia carne di cavallo, almeno non per i più che sulla scia dell'Horsegate hanno cambiato le proprie abitudini alimentari, quanto nel non sapere cosa si mangia. 'Chi' si mangia direbbero gli animalisti.
Ma al di là del sentirsi 'fregati' ripensavo in questo periodo al dilemma di chi, come me, ama gli animali in genere e davanti a una bella bistecca alla brace chiude un occhio, con un fondo di insana ipocrisia. Anzi li chiude tutti e due, per riuscire a godersela. In natura gli animali, i carnivori, mangiano altri animali. Penso alle immagini dei documentari, alla classica scena del leone e della gazzella, alla fuga dell'uno inseguito dall'altro, all'adrenalina che finalmente, viene quasi da dire, si interrompe al salto del felino che atterra la preda. Per qualche istante sono così vicini. Attimi di intimità in un atto che porta in sé così tanta passione. Morte e vita. O una violenza, se la vogliamo vedere certo c'è, che non ha nulla a che fare con quella che non ho mai visto, per fortuna, dei luoghi dove macellano gli animali. Le bestie, e le chiamiamo così per non dargli un nome che ne riconosca l'unicità, sono allevate per arrivare lì. Attendono quel momento, forse poco prima lo sanno, lo sentono, o forse no. In fila, poi bloccate, da sole, il colpo in testa, cadono, iniziano veloci i tagli. Me l'hanno raccontato e lì ho iniziato a immaginare.
Allora penso alla modalità. A come e perché si uccide. Ed è questo che fa la differenza. Io non sono un'animalista né vegetariana. Adoro gli animali, mangio poca carne ma la mangio. E sono certa che la vita senza loro a fianco avrebbe meno pennellate di felicità, la mia di sicuro.
Penso al leone, che uccide per vivere, e all'uomo, che oggi potrebbe uccidere molto meno, ma lo fa sempre di più e non per vivere. Business, per dirlo con una parlora dal respiro internazionale. Penso che bello sarebbe cambiare le abitudini alimentari degli uomini nel segno di un rispetto verso tutti gli animali che hanno tanto, e molto di più della loro carne, da darci. E penso di farlo prima io, uno in meno che non consuma quello che esce dai macelli. Un modo per cambiare? Ridurre drasticamente le nascite di mucche, maiali, galline, conigli, pecore e anche cavalli... Fare vivere con noi quelli che ci sono, trovargli nuove funzioni nel mondo antropocentrico. Ma i fini sono altri, i potenti del mondo vogliono altro, non felicità né pace. E' evidente.
E chiudere questi luoghi costruiti per uccidere numeri, etichette appese all'orecchio. Mi gelo se ci penso. Il pensiero vola in un attimo dai macelli ai campi di concentramento, all'olocausto, alle uccisioni di massa di persone che erano numeri, non uomini. Come tutti gli animali che il sistema ammazza per produrre. Il modo che sottende è infondo lo stesso. Che la bestia sia l'uomo, questo uomo che senza coscienza esegue, non ci sono dubbi.