Invochiamo l’intervento dei carriarmati, come se fosse questa la ricetta per sconfiggere la violenza. Il malessere e la rabbia crescente non sono questioni che si risolvono militarizzando le città, ma ci fa comodo dimenticare le vere ragioni che le generano. Sbattiamo il mostro in prima pagina, ma evitiamo di raccontare le belle storie che pure accadono. Notizie che non trovano spazio perché noi giornalisti, sempre più spesso, siamo insensibili. Facile capire la notizia quando un folle prende a picconate tre passanti alla periferia di Milano oppure quando due altrettanto folli criminali sgozzano un soldato inglese per le vie di Londra. Comodo affibbiare colpe a questo o a quello, come se la misura del degrado che ci circonda dipendesse solo dal calcolo di vite recise senza motivo. Molto più difficile saper cogliere quei piccoli fatti di vita quotidiana che ancora ci fanno sperare e pensare che la nostra società, per quanto ammalata e avvilita, sia comunque attraversata da episodi che non conquistano le prime pagine, ma che lo meriterebbero eccome, proprio per dimostrare che siamo noi e non altri a determinare il clima del mondo in cui viviamo. Un fatto banale, eppure straordinario nella sua quotidiana normalità, è accaduto a Milano nei giorni scorsi, ma in pochi se ne sono accorti e di certo non ha conquistato le prime pagine dei giornali. La storia è semplice: una signora ha trovato una borsa sottratta in metropolitana a una collega giornalista de Il Giorno. All’interno una telecamera professionale che poteva finire su una delle tante bancarelle nei mercatini che affollano la città. Qualcuno l’aveva sottratta sperando di trovarci soldi, oro o chissà cos’altro, ma visto il contenuto l’aveva abbandonata. La signora che l’ha notata non ci ha pensato un attimo e ha telefonato in redazione. Un bel regalo per la collega angustiata per il furto subìto, ma soprattutto un bell’esempio di come al mondo ci sia gente che si preoccupa del prossimo e cerca di fare del bene incurante del proprio tornaconto. Nessuno se n’è accorto, nessuno le ha dedicato una riga, ad eccezione del sito online de Il Giorno che di quella telecamera si serve. Intendiamoci, nulla di clamoroso, ma quante buone notizie trascuriamo? Quanti piccoli grandi gesti finiscono dimenticati? Più di quanti possiamo immaginare e di questo noi giornalisti siamo colpevoli perché continuiamo stupidamente a credere che solo le tre s (soldi, sesso e sangue) facciano vendere copie. Quando capiremo che non è così, che questo sia solo il luogo comune antico di una cultura superata, ma soprattutto torneremo a comprendere che il nostro ruolo non è solo quello di vendere, ma anche di aiutare la società a crescere, forse allora anche i giornali e i giornalisti torneranno a essere rispettati e ascoltati (e acquistati). Doveroso raccontare la cronaca nera, ma sarebbe ora di alzare lo sguardo e iniziare a pensare che non solo gli assassini hanno diritto di conquistare le prime pagine, ma anche le persone giuste, ovvero la maggioranza di noi. Un applauso alla signora, che se lo merita, un invito al sottoscritto e ai suoi colleghi di andare oltre, di tornare a guardare a quello che succede, a lavorare con la sensibilità indispensabile per considerarsi giornalisti autentici e non tristi, incupiti trascrittori di veline.