Parto da lontano. Da mio padre, che da qualche anno non c’è più e che, a volte, mi viene trovare nei sogni. Di solito ritorna con mia madre. Non li vedo diversi da com’erano, ma proprio come sono stati, senza regalare nulla e senza pensarli diversi da com’erano. E mi mettono la stessa ansia di sempre, ma non gliene voglio, prevale la nostalgia del ricordo. Non sono più arrabbiato.
I figli devono rispettare i genitori, ma non sono tenuti ad amarli. L’amore dei figli i genitori sono tenuti a conquistarselo. Da quando sono diventato padre ho sempre cercato di raggiungere l’obiettivo. A volte ci sono riuscito, altre volte ho fallito. Ma quando mio figlio Michele, quindici anni fa, vedendomi tornare dalla Marathon des Sables, mi disse che voleva lo portassi tra le dune del Marocco, glielo promisi. Aveva sei anni, oggi ne ha 21: potevo far finta di nulla, rimandare, accampare scuse, ma certe promesse non possono essere trascurate se si vuole tentare di essere amati dai figli. Ma c’è bisogno di correre e marciare per 220 chilometri, zaino in spalla e cibo razionato, dormire in tende berbere, soffrire il freddo la notte e il caldo di giorno, per farsi amare? Non credo, può bastare molto meno, ma indubbiamente i ricordi dei sette giorni trascorsi tra le dune, lasciandosi e riprendendosi, mandandosi a quel paese per poi ritrovarsi all’arrivo, quelle ore trascorse in posti che non hanno nulla a che fare con la nostra vita quotidiana, quelle immagini, quelle sensazioni ci rimarranno incollate addosso tutta la vita. Non è la corsa, la classifica, chi arriva prima, chi arriva dopo che conta, ma è il viaggio e quello che rappresenta. Un lungo pellegrinaggio attraverso erg, oued e jebel, luoghi di una bellezza antica che ci riportano alle origini del mondo, prima ancora che l’uomo facesse la propria comparsa e queste terre sommerse già c’erano. Quante storie scritte nella sabbia delle dune, quanti segni lasciati dal tempo nelle rocce e nelle pietre che tagliano le vallate… Il deserto, come il mare e la montagna, riaccende le nostre vite e mette in moto le coscienze. Le parole diventano pesanti e, riscoprendo cosa significhi avere fame e sete, anche i silenzi, soprattutto il silenzio si carica di significati, accompagnato dal sole che scalda la prima mattina, fino a diventare incadescente nelle ore centrali del giorno e di nuovo sopportabile e amico verso sera. E poi le stelle, milioni di stelle che ti guidano nella notte, bussola per naviganti di terra ferma. Siamo arrivati tutti e due alla fine, in buona salute, senza acciacchi e con una consapevolezza diversa affrontiamo la vita. Sappiamo di esserci e non importa come. Fisicamente vicini o lontani, non importa, possiamo contare l’uno sull’altro, passarci la bottiglia dell’acqua e farci coraggio se ci dovesse venire voglia di mollare. Senza troppe parole, anche nel silenzio di certi giorni, nella solitudine assordante della nostra vita quotidiana. Non so se basterà per essere amato, di certo quando lo verrò a trovare nei sogni mi ricorderà stanco e felice tra le dune. E questo mi può bastare.