La mia generazione, quella nata a cavallo degli anni Sessanta, è la più vaccinata e quindi la meno stupita dal teatrino degli ultimi giorni. Il ’68 l’ha appena orecchiato, ha partecipato da comparsa ai cambiamenti epocali degli anni Settanta (divorzio e aborto, in qualsiasi modo la si pensi, lo sono stati…), per poi vivere i propri vent’anni nel cupo grigiore degli anni di piombo. Molti si sono persi per le strade tormentate di quell’epoca, in gran parte falcidiati dall’Aids, altri ancora colti da quel malessere che colpisce quanti non accettano di stare alle regole del gioco e allora, ripensandoci, erano in tanti a rifiutarle. Passano le stagioni e molti superstiti hanno perso la spinta di quegli anni dovendo per forza adattarsi per sopravvivere. Restano i segni, quelli che inevitabilmente rimangono quando si sono vissute e provate sulla pelle emozioni che non possono essere dimenticate. Non credo allora di essere il solo tra quelli che hanno percorso strade comuni ad aver perso le parole di fronte a quello che ogni giorno il nostro Paese ci riserva. Ho smesso da tempo di giudicare il comportamento del prossimo, perché mi sembra un esercizio del tutto inutile in una società che ha perso la bussola. La vicenda Berlusconi, la storia delle Olgettine, dei festini ad Arcore, dell’allegra combriccola di signori attempati che vi partecipava non destano alcun tipo di sussulto scandalizzato a chi è cresciuto abituato alle provocazioni dei Sex Pistols e dei Clash, alle performance di Andy Warhol e ai graffiti di Keith Haring , nonché all’erotismo di Serge Gainsbourg e Jane Birkin. Non stupisce nemmeno l’indignazione di quella parte di borghesia che si scandalizza di fronte alla sentenza che ha condannato Berlusconi. Colpevole o innocente non interessa, ma fa un certo effetto vedere inappuntabili conservatori, gli stessi che trent’anni fa avrebbero chiesto di mandare al rogo <Ultimo tango a Parigi> di Bertolucci, trasformarsi in libertari di provata fede. Gli stessi che sfilano tirati e infighettati in chiesa la domenica e firmano per il diritto alla vita dell’embrione. I Sessantottini stipendiati dal Cavaliere non rientrano in questa categoria: se le Olgettine incassano ancora oggi duemilacinquecento euro al mese, chissà quanto prendono loro… E anche qui, nulla di cui scandalizzarsi, buon per loro che hanno venduto l’anima al diavolo (non come Vasco Rossi che la regala…) e non se ne fanno un cruccio. Certo è crescente la nausea per un Paese che continua a tollerare chi se ne infischia delle regole perché può permetterselo. Ma Berlusconi è la rappresentazione più amata da buona parte degli italiani (punti percentuali in meno rispetto a un recente passato, ma ancora tanti, milioni di milioni gli italiani che lo votano). Incredibile? No, per nulla, nella norma in un Paese cresciuto facendo dell’individualismo esasperato il primo dei valori. Li conosciamo tutti quelli che al bar o alla cena del sabato rivolgono la classica domanda agli amici seduti intorno al tavolo: <Diciamoci la verità, chi non vorrebbe essere al posto di Berlusconi…>. E via con gli ammiccamenti, i sorrisi compiaciuti, le strizzate d’occhio, le pacche sulle spalle. L’ex premier lo sa bene e sa anche che gli basterebbe portare Messi al Milan per conquistare nuovi consensi. A me e a quelli come me tutto questo può non piacere, ma non ne facciamo un dramma. Non tutti hanno avuto la fortuna di vivere quegli anni nascendo nel ’60 o giù di lì e anche di aver saputo sopravvivere agli eventi di quelle decadi tormentate. Chi c’è riuscito, a volte, pensa solo che potrebbe fuggire perché in questa Italia, come diceva Freak Antoni degli Skiantos, non c’è gusto a essere intelligenti. E questa è l’unica certezza che mi resta, o meglio, che ci resta.