Viene naturale, quando si è bambini, stare dalla parte di chi vince. E così per me è stato scontato, aldilà del fatto che i miei nonni abitassero in via del Fossato nel cuore della Bologna antica, tifare per la squadra della mia città. Ero poco più che un cinno e di quel 7 giugno 1964 non ho un ricordo preciso, ma il racconto e gli anni successivi non potevano che farmi diventare rossoblù a vita. Se poi aggiungete il fatto che mio padre era medico in gioventù in quel di Portonovo e quindi dottore niente meno che di capitan Bulgarelli bambino, beh, capirete che più che una maglia, quella rossoblù per me è una seconda pelle. E ho sofferto molto quando il Bologna precipitò in B in anni oramai lontani, perché il mio residuo orgoglio era quello di far parte delle squadre che sempre avevano militato nella massima serie. Poi, ahimè, mi sono malamente adeguato ai tempi, anche se, come recita un bello slogan in voga in questi giorni di rievocazione dello scudetto, quando si è stati grandi, grandi si resta per sempre. Intendiamoci, per me è così davvero, perché il Bologna dovesse finire anche in Promozione (debiti scongiuri e sia mai, vista la situazione…) resterà sempre una fede. Davvero, non farei cambio con nessuna squadra al mondo, anche perché provate a immaginare  quando i tifosi della Juventus o dell’Inter potranno celebrare il cinquantesimo anniversario dell’ultimo scudetto? È una fortuna che difficilmente potranno assaporare e non lo faccio tanto per dire.

Ricordare uno scudetto è rivivere un’epoca, un viaggio nel com’eravamo, un modo per tornare a quei giorni e riassaporare il dolce sapore del ricordo. Fortunati noi che c’eravamo e adesso possiamo risentire le voci non solo dei commentatori tv, ma andare con il pensiero a quelle dei tifosi che conoscevamo, quelli con i quali condividevamo la passione per la squadra che tremare il mondo fa… Non potranno mai cancellarsi nella mia memoria le immagini delle epiche trasferte in treno a Bergamo e a Roma, io poco più che ragazzino, con mio padre e i suoi amici… Viaggi leggendari in città che mi parevano lontane anni luce, non certo raggiungibili in meno di due ore con Italo e Freccia rossa… E lo stupore vedendo entrare Corrado in un ristorante di Trastevere, poco prima della partita, confessando a noi, seduti a un tavolo vicino, che pure lui tifava per il Bologna. E le foto in bianco e nero e lo stadio che non era stato ancora oscenamente violentato dalla ristrutturazione di Italia ’90 e l’orgoglio di vestire poco più che tredicenne per un paio di stagioni la maglia rossoblù e, uscendo dall’ingresso degli atleti (dove alle caldaie regnava l’ormone Casini, una bandiera che conosceva tutti noi cinni) vedere il Bulgaro che salutava, affacciandosi alle vetrate in legno degli spogliatoi proprio sotto la tribuna centrale, mio padre stringendo gli occhi per capire chi fosse l’erede, non suo, ma di quello che era stato il suo dottore. Chi dei tifosi delle cosiddette grandi avrà mai queste fortune? Eppoi alla storia passa Davide che abbatte Golia, non certo il contrario. E come dicono i colleghi giornalisti, abbassando un po’ livello della metafora, fa notizia l’uomo che morde il cane e non il contrario. Quindi, per concludere, stasera mi sono preparato una vera serata in salsa rossoblù: Pignoletto, mortadella e “il cielo capovolto”, il film su quegli anni che mi dicono tutti da far accapponare la pelle. A noi che siamo rossoblù e sempre lo saremo. Vuoi mettere il privilegio.

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