In questo clima di campagna elettorale, con i candidati  pronti a promettere tutto e il contrario di tutto pur di accaparrarsi uno scranno e una fettina di potere, mi piace ricordare il discorso del presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica pronunciato alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, il 21 giugno 2012, che si può vedere e ascoltare su Youtube, http://www.youtube.com/watch?v=uUSzzOHUJ_Y.
Il popolo del web lo ha chiamato «Il discoso della felicità». Ha detto fra le altre cose: «Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara – dicevano: povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più. Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità!».

Un politico che parla del diritto alla felicità. Fantastico. Che dice che nella tutela dell’ambiente «il primo elemento dell’ambiente è la felicità». E’ un tipo particolare questo Presidente di un Paese di 3 milioni di abitanti. Campa con poco, dello stipendio si trattiene solo 485 dollari ed elargisce gli altri 7500 in beneficenza. Vive in una vecchia fattoria con l’acqua del pozzo. È vegetariano. Ha una moglie, un cane, un passato di guerrigliero Tupamaros alle spalle e 14 anni trascorsi in carcere. Guida una vecchia auto. Ha dichiarato alla Bbc: «Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi».  Certo non si può pretendere dai politici che facciano questa vita da asceta (anche se a guardare su internet nei giornali locali il Presidente sembra un tipo molto socievole), ma forse un’equilibrata via di mezzo non guasterebbe. 

Questo discorso per certi aspetti (anche se il contesto era profondamente diverso) me ne ricorda un altro, quello finale di Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”.:«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, neri o bianchi.
Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti, la natura è ricca ed è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi in noi stessi. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’abilità ci ha resi duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto…». Correva l’anno 1940. Sono passati oltre settant’anni ma la felicità resta un traguardo lontano.