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Prosit. Chilometro zero e perplessità

di MARCO NANNETTI

QUANTO parlare in questi ultimi anni nell’ambiente gastronomico di prodotti a chilometro zero! Alcune guide attribuiscono addirittura un bonus a ristoranti e trattorie che utilizzano prodotti agricoli a filiera corta e sono fioriti mercati e manifestazioni che li valorizzano. Il loro impiego è diventato sinonimo di qualità e di garanzia per il consumatore che vuole mangiare bene.
Ma il fatto mi lascia abbastanza perplesso. Pur vivendo in una zona ricca di prodotti agricoli ed enologici di alto livello, se pensassi che per avere la certezza di genuinità e freschezza dovrei bere solo vini dei Colli Bolognesi e mangiare solo patate di Budrio, asparagi di Altedo, cipolle di Medicina, la depressione mi assalirebbe inesorabilmente (niente Barolo, burrata pugliese, Castelmagno o lenticchie di Castelluccio…). Inoltre con il chilometro zero l’abbattimento dei costi è evidente ma spesso non si riflette sul prezzo finale e ho la sensazione di essere di fronte all’ennesima “bufala” di un mondo gastronomico in costante crescita ma che a volte necessita di trovare nuovi stimoli e tendenze, anche esasperate. L’unica tipologia di locale dove il chilometro zero ha senso, anzi dovrebbe essere obbligatorio, è l’agriturismo che dovrebbe utilizzare solo prodotti coltivati ed allevati in zona ed invece è proprio qui che salta il gioco. Spesso in questi locali si serve di tutto tranne prodotti del territorio. Prosit!

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