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Prosit: il vino di una volta? Meglio quello di oggi

di MARCO NANNETTI

PER CREARE un vino importante è fondamentale la vigna e quindi l’uva oppure l’uomo e di conseguenza le pratiche di cantina? E’ un dilemma della ‘new-enology’ che stimola a fare molti ragionamenti ma le conclusioni non sono mai in un senso solo e quindi il dibattito continua. Le pratiche di cantina una volta era ridotte al minimo, si pigiava l’uva, la si lasciava bollire nel tino, si ‘tirava’ il mosto, lo si lasciava sedimentare e il vino ormai pulito a marzo/aprile veniva imbottigliato e la filiera era finita. Oggi fin da subito si lavora l’uva facendola fermentare con lieviti non sempre autoctoni, viene pulita dal raspo, in molti casi anche dalla buccia e inizia una lenta fermentazione guidata dall’uomo che raffreddando il mosto permette ai profumi di non bruciare e, nel caso di vini rossi, di ottenere una carica cromatica più intensa. In seguito l’uomo filtra, addirittura microfiltra, poi con misure antisettiche difende il mosto ed il vino da contatti esterni (il nemico numero uno è l’ossigeno) per permettere al consumatore di gustare un vino perfetto e con profumi piacevoli. In conclusione il vino del contadino sicuramente per quel tempo andava bene, ma oggi non sarebbe più attuale. Partendo in entrambi i casi da un frutto (uva) eccezionale, credo che l’uomo abbia molto, ma molto inciso sulla considerevole qualità del vino italiano ora richiesto e rinomato in tutto il mondo. Non posso assolutamente pensare che quello che l’uomo tocca rovina, altrimenti non dovremmo neanche affidarci ai medici per farci guarire. Sono uomini e quindi perché fidarci?
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