Amore criminale nel remoto Sud
La guerra aveva invaso anche il Molise. Resistere per vivere. Lo sapevano bene molti contadini che pur di lottare per la sopravvivenza, quel primum vivere, decisero di opporsi alle razzie dei tedeschi. Uno di questi era il padre di Antonio Pepe, un eroe guardiese, ucciso dal mitra nazista dopo essersi scavato la fossa alla brezza del mattino. Antonio Pepe era cresciuto con il dolore per quella atroce esecuzione. Nonostante ciò qualche anno dopo aveva sposato una donna dalle forme sinuose, ambita da molti a Guardialfiera (CB), la quale in cambio le aveva dato due bei figli. Una di questi si chiamava Albina.
La piccola Albina viveva nella masseria a ridosso del lago di Guardialfiera, allattata dalla ruvida capra, perché la madre subito dopo la sua nascita aveva deciso di emigrare in America per far soldi. I quattrini li aveva fatti inserendosi però nella malavita. Per sfuggire alla mano armata era rientrata dopo qualche anno in Molise. E’ il 24 settembre 1963. Il Messaggero titola “Muore dissanguato sotto il peso del trattore ribaltatosi a causa del terreno sconnesso”. E continua: “Data l’ora notturna nessuno s’è accorto dell’incidente. Il cadavere è stato rinvenuto solo alle prime luci dell’alba”.
Antonio Pepe muore in quella notte frenetica scandita da rumori di passi frettolosi e gesti avventati. Viene ritrovato con la testa sopra la sua giacca. Aveva 51 anni.
La mattina successiva sul posto si era recato il brigadiere Giuseppe Rossi, originario di Gildone, con un passato nel 34esimo Reggimento Artiglieria. Da subito aveva intuito che non si trattava di un semplice incidente ma c’era qualcosa di più. Prima della tragica morte di Antonio, Albina spesso si era recata dai carabinieri per raccontare delle aggressioni subite ad opera della madre. Picchiata per un amore sofferto, quello che provava verso un giovanotto del paese conteso a quanto pare anche dalla madre. Di fatto Albina a soli 13 anni sposò il giovanotto dal viso glabro, in quanto rimasta incinta.
E’ il 1966. L’estate afosa non dà tregua. Albina aveva tentato già in precedenza il suicidio cercando di farsi investire sulla strada principale. Il piccolino da poco battezzato veniva vestito a festa. L’ultimo gesto materno prima di avvelenarlo. Albina venne ritrovata poche ore dopo impiccata, aveva solo 15 anni.
Della morte del piccolo Antonio e di Albina vennero accusati la madre e il genero, marito di Albina. Istigazione al suicidio e incesto. Vennero condotti al carcere di Larino per scontare la pena. Dietro le sbarre la donna dalle forme sinuose diede alla luce un figlio le cui tracce si perderanno in fretta.
L’uomo invece incontrerà una detenuta e una volta usciti andranno a vivere insieme. Viceversa destino più crudele per la madre di Albina. La malavita e la perversione non l’avevano abbandonata. In paese si contraddistinse per la sua attività da usuraia, ma ormai gli anni e l’obesità stavano scandendo i suoi ultimi atti prima della morte.
Il 23 settembre del 1963 Antonio Pepe aveva perso la vita schiacciato più che dal trattore dalla devianza umana dal retroterra oscuro. L’aveva capito benissimo il brigadiere Giuseppe Rossi, prima di morire sei giorni dopo stroncato da un infarto mentre prestava servizio alla caserma di Guardialfiera. In precedenza era scampato ad altri attacchi ma quello gli fu fatale.
Alto, magro, dagli occhi castani e dalla fronte alta. Figura di riferimento per tutto il comune di Guardialfiera, vigile sulle loro vite, anche lui segnato da quel tragico avvenimento che spezzò la tranquilla quotidianità di quella terra rurale narrata dallo stesso Jovine.
Qualcuno lo immagina in cielo accanto alla polvera Albina stroncata dall’avidità e dall’amore criminale che spesso non vuole sentire ragione. Del brigadiere Rossi resta in paese lo spirito di sacrificio e di abnegazione verso la propria divisa e quella perspicacia intuitiva che aveva invaso gli animi umili e generosi degli stessi guardiesi.