Dalle macerie del sisma a centro “diffuso” per rifugiati. Il modello di Conza
Un tremendo boato danzò a casaccio per le strade. Si insinuò nelle case, morse l’asfalto, lo aprì ai bordi dei marciapiedi, sotto i pneumatici delle auto posteggiate. Novanta secondi di inferno. Suoni, odori, parole, immagini che appartengono a un repertorio disperato. Il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 ha segnato la vita di diverse persone, poche quelle sopravvissute e interi nuclei familiari spazzati via. Antichi borghi sventrati o rasi al suolo dalla furia della natura. Tra questi Conza della Campania con le sue quasi 200 vittime totali che costrinsero i superstiti a trasferirsi nella parte bassa ed edificare la nuova Conza insediandola a partire dai primi anni Novanta. Del vecchio centro abitato resta un parco archeologico venuto alla luce dopo il terremoto con un foro e un anfiteatro emersi tra le spettrali rovine delle abitazioni. Le porte delle case sono ancora aperte, come se il tempo si fosse fermato, come se quella fuga verso la salvezza non fosse mai terminata. Superato l’uscio è possibile immergersi nei silenzi, nelle crepe, nei freddi corridoi con le pareti ancora intonacate e i vestiti affastellati in qualche angolo. Un silenzio assordante rotto da 20 abitanti speciali che vivono in un edificio ristrutturato e di proprietà del comune nell’ambito del progetto SPRAR. Si tratta di rifugiati politici provenienti dall’Africa (Nigeria, Gambia, Mali, Eritrea, Costa D’Avorio) ma anche dal Pakistan e dall’Iraq. In realtà ne sono 40 totali, di cui 20 residenti nella parte vecchia, mentre la restante parte in strutture affittate nella nuova Conza distante poco più di 4 Km. Il rifugiato politico percepisce spesso gli enti locali come imbalsamati e inermi ma in questo caso è diverso. Si sono ben integrati e frequentano quotidianamente le attività scolastiche. Inoltre il comune di Conza ha un progetto specifico: quello di riattivare nel vecchio borgo un sistema di ospitalità diffusa ripartendo da un unico ristorante e dalla presenza dei “nuovi abitanti”. Un modello vincente che punta all’integrazione e allo sviluppo dell’antico borgo terremotato. Forse qualcuno non rimarrà a Conza preferendo raggiungere mete europee ma per gli altri l’integrazione nel tessuto sociale non è una chimera visto l’inserimento già in passato di alcuni ex rifugiati in aziende locali. Ieri i terremotati oggi i rifugiati, eppure una serie di analoghe vicissitudini: le tendopoli, la distribuzione di aiuti per la quotidianità perduta, la provvisorietà e la precarietà senza scampo che logora la vita. Tuttavia in queste analogie alberga un’unica speranza quella di rinascere come persona, come nuovo cittadino e come comunità, quella di Conza, che guarda al futuro conservando la memoria storica di quei tragici giorni.