Guerra e Pace

I muri della vergogna

in Esteri

In queste ore dei muratori arabi stanno costruendo una barriera di quasi 1000 chilometri per separare l’Arabia Saudita dall’Iraq in modo da difendersi dall’Isis. Ci sono La Mecca e Medina da proteggere e che potrebbero essere prossimo bersaglio dei miliziani jihadisti. Già nel 2013 Riyad aveva realizzato una striscia di cemento di 1800 km per difendersi a Sud dallo Yemen e dalla minaccia qaidista. L’idea di barriere e muri per proteggersi resta una moda non cessata con la caduta del muro più celebre di tutti: quello di Berlino. In Europa esiste un’isola divisa in due e segnata da uno dei tanti  muri della vergogna. Quest’isola è Cipro sempre più ricca di turisti ma anche di contraddizioni suffragate nel tempo da infiltrazioni della mafia russa. L‘esercito britannico rimasto a Cipro dopo la proclamazione di indipendenza del 1960, quattro anni dopo aveva già mappato la geografia umana delle due comunità (quella greca e quella turca) per consentire alla forza multinazionale di pace (risoluzione Consiglio di Sicurezza n.186 del 1964) di garantire il cessate il fuoco. Con il rovesciamento del presidente Makarios III e l’invasione turca dell’estate 1974 la zona cuscinetto creata per garantire il rispetto del cessate il fuoco, divenne una frontiera tra il territorio cipriota amministrato dal governo riconosciuto internazionalmente e quello amministrato dalla comunità turca riconosciuto solo da Ankara. Questa barriera prende il nome di Linea Verde. Le differenze ci sono e sono inevitabili.  Le ho avvertite anche io durante un reportage proprio nell’isola. Atterrato a Nicosia sembrava tutto normale a prova di turista occidentale. Si oltrepassa la frontiera, e in un minuto, in quei cento passi che solo lo straniero può compiere a piedi da una parte all’altra del confine, cambia tutto. Cambia il paesaggio, le abitazioni, il cibo, la musica, le persone. Si esce da un taxi con la croce ortodossa che pende dallo specchietto retrovisore, nelle orecchie echi di canzoni popolari greche, e un minuto dopo si entra in un taxi aperto da un autista che ha fra le mani un rosario islamico, mentre la radio diffonde melodie anatoliche. Qui pullulano i caffè e i ristori che propongono polpette di carne turche, di là trionfano banche, concessionarie di automobili, i quartieri della movida. A Lefkosa non ci sono i negozi e le vetrine luccicanti e lussuose di Nicosia. Con i suoi minareti e l’aria dimessa e gentile appare una città turca di provincia, con squarci paesaggistici e naturali di abbagliante bellezza via via che ci si avvicina alla costa. Così come appaiono splendidi numerosi siti nel Sud, turisticamente più efficienti e organizzati. Ma le distanze, economiche, sociali, culturali, religiose, oltre che politiche, costituiscono di fatto un obiettivo ostacolo verso un’integrazione. Da una parte all’altra della rete divisoria che costeggia Nicosia c’è una curiosità, non a torto, quasi selvaggia nel cercare di sapere come stanno le cose “dall’altra parte”, dopo tanti anni di impedimento forzato a varcare quel confine. Come se non bastasse ad oggi la Linea Verde non è l’unica ma è in ottima compagnia visto che sono ancora troppi i muri della vergogna sparsi per il Mondo. Da quello tra Israele e Palestina, tra Usa e Messico, tra Marocco e Spagna (Ceuta e Melilla), tra Iran e Pakistan, tra Zimbabwe e Botswana o tra Marocco e Sahara Occidentale. Sarebbe opportuno cercare di ritornare con i piedi a terra e scendere da quei muri che rappresentano un limite della nostra modernità.

 

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