L’Italia non ha più una politica estera
Renzi è contrario ai raid anglofrancesi in Siria e si dichiara forse favorevole a dei bombardamenti in Libia sempre per sconfiggere il presunto Califfato dell’Isis. Intanto la Pinotti preme per una azione militare in territorio libico. La Mogherini dall’alto del suo incarico ha deciso di sfidare la Russia. Infine l’ex premier Berlusconi è volato dall’amico Putin per rendere omaggio alle vittime italiane della guerra di Crimea (quella combattuta tra il 1853 e1856) provocando non pochi problemi alla nostra diplomazia. Kiev non ha affatto gradito – per usare un eufemismo – la presenza dell’ex primo ministro di uno dei paesi che applica le sanzioni contro Mosca su un territorio che considera ancora parte integrante dell’Ucraina. Gentiloni non pervenuto. E’ il triste epilogo della nostra politica estera che rimpiange tempi sicuramente migliori. Nel giorno dell'anniversario dell'11 settembre risultano utili determinate considerazioni. I terroristi dell’Isis non potranno mai vincere questa guerra. Ma possiamo perderla se accetteremo di rispondere all'idea di una guerra tra noi e loro sotto la logica di una crociata, aderendo nello scivolone di una guerra santa. Negli anni il terrorismo è stato sottovalutato, razionalizzato e fagocitato dal sistema occidentale che in molti casi lo ha anche usato e forse lo usa ancora oggi per destabilizzare determinate aree geografiche per delle finalità non più tanto subdole. Non si tratta di sradicare il terrorismo dalla faccia della terra perché esso continuerà, nelle forme note prima e dopo l'11 settembre. Alcuni, compresi gli europei, si sono rivolti al terrorismo espresso da Isis o altri gruppi per varie ragioni: convinzioni politiche, ideologiche e religiose. Altri sono semplicemente criminali, altri diventano terroristi perché si ritengono oppressi o sottoposti a limitazioni economiche. Una intelligente politica estera deve tenere conto delle ragioni di chi si rivolge al terrore e cercare di rimuoverle. Nel Nord Africa bisogna fare attenzione e all'Italia non conviene procedere a rimorchio come già successo in passato con i bombardamenti in Libia che portarono alla morte di Gheddafi. Un asse italo francese è ancora possibile per proteggere i nostri interessi in Tunisia e soprattutto in Libia associandoci con altre potenze in una sorta di divisione dei compiti per fronteggiare le turbolenze nel mondo arabo-islamico soprattutto ora che quegli stessi territori vivono di grande instabilità. Ciò rafforzerebbe la collaborazione fra Italia e Francia, paesi cugini ma che, in realtà, coltivano un’amicizia piuttosto formale. La Francia soccombendo all’ipnosi tedesca, l’Italia mancando d’iniziativa. Inoltre abbiamo deciso di barricarci dietro l'Adriatico senza avere più una nostra influenza nell'Est dell'Europa a cominciare dai Balcani. Troppo presi dalla pressione che arriva a Sud dal Mediterraneo in risalita. E gli italiani? Loro già pensano al posticipo tra le milanesi.