Renzi invia 450 soldati a Mosul. Ora l’Italia rischia grosso
Ancora una volta Renzi è costretto ad obbedire. Mentre i media si concentrano sul rapporto Renzi-Merkel, il premier italiano dagli studi delle trasmissione “Porta a Porta” comunica l’invio di 450 soldati in Iraq a difesa della diga di Mosul. Controllare la diga significa controllare parte delle risorse idriche dell’Iraq. L’opera inaugurata nel 1983 col nome di “Diga Saddam” è alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, ha una capacità di 11 miliardi di metri cubi d’acqua e fornisce elettricità a 1,7 milioni di abitanti della regione. La centrale principale ha una potenza di 750 megawatt e prevede un impianto ad accumulo per pompaggio con una potenza di 240 MW e un sistema ad acqua fluente di 62 MW a valle. L’impianto è il più grande serbatoio d’acqua artificiale dell’Iraq, e il quarto nel mondo arabo e si trova 35 chilometri a nord di Mosul, nella provincia di Ninive. La diga ha un valore altamente strategico perché regola l’intero flusso del Tigri in territorio iracheno. Quindi a difesa di tutto ciò ci saranno truppe di terra italiane quando basterebbero quelle peshmerga a difendere la diga. Un voto di obbedienza agli Usa che invece non hanno alcuna intenzione di inviare soldati in un’area calda e soprattutto in vista della scadenza del mandato di Obama che ha fondato la sua ultima elezione proprio sul ritiro dei marines dall’Iraq e dall’Afghanistan. Ora però l’Italia rischia grosso vista la presenza del nostro contingente in una area strategica per i miliziani dell’Isis e che potrebbe attirare la loro follia devastatrice. Un cedimento della diga produrrebbe un’onda alta 30 metri che colpirebbe in poco tempo la città di Mosul, causando inondazioni fino a Baghdad. Secondo alcune stime, il crollo potrebbe causare fino a 500mila morti (alcuni dicono molti di più). Si è dibattuto molto sulla possibilità che l’Isis possa distruggere la diga e usare l’acqua come “arma”. Tra l’altro Mosul antica capitale assira e centro di fecondi scambi commerciali e culturali sul Tigri, ha anche una ricca storia petrolifera. Nel 1936, durante il regime mussoliniano, l’italiana Agip Petroli divenne socio della Mosul Oil Fields Company, concessionaria delle estrazioni a Mosul mentre nello stesso anno a Kirkûk la grande Iraq Petroleum Company sfruttava i giacimenti avendo un capitale sociale di oltre sei milioni e mezzo di sterline. Di sicuro da un punto di vista strategico nella nuova operazione “made in Italy” non c’è nulla di studiato ma solo l’ennesima mossa in uno scacchiere i cui giocatori sono altri. L’Italia e il suo complesso di petitesse verrà messo duramente alla prova con ripercussioni che potrebbero raggiungere anche il suolo nostrano.