La Libia e le milizie del petrolio
L’Italia non avrà vita facile in una Libia sempre più frammentata. Il governo nazionale guidato da Al Serray rappresenta meno di un terzo dell’intero Paese. Oltre alla Tripolitania, c’è infatti la Cirenaica ancora in mano al generale Haftar, a Sud ci sono i redivivi Tubu e infine a Ovest i Tuareg. Ma lo scacchiere geopolitico libico può contare anche delle Petroleum Facilities Guards o milizie del petrolio. La PFG è composta da circa 27 mila uomini disposti in tutte le aree petrolifere libiche. Alla guida c’è Ibrahim Jadhran, a cui l’ex governo centrale libico aveva affidato il compito di comandare una forza di polizia responsabile dei terminal petroliferi, ma che invece è diventato un signore della guerra muovendo la PFG sotto i propri voleri. La PFG doveva essere una garanzia bipartisan, ma nel tempo ha creato parecchi ostacoli al processo di pace. Nel marzo del 2014 la PFG caricò di greggio la petroliera “Morning glory” nel tentativo di mettersi a commercializzare in proprio la risorsa: la nave sfondò un blocco di sicurezza, ma il 16 marzo del 2014 ne fu ripreso il controllo da un gruppo di Navy SEALs americani. Nonostante ciò Ibrahim Jedran ha stretto un accordo nel mese di luglio con l'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler. I dettagli di quel patto non sono mai stati resi noti, ma i critici hanno ipotizzato un coinvolgimento di miliardi di dollari. D’altra parte però il rapporto tra le milizie del petrolio e il generale Haftar non sembra poi così compromesso tanto da opporre una forte resistenza al generale che tranquillamente potrebbe conquistare importanti pozzi. Non dimentichiamo che Haftar gode del sostegno di diversi paesi arabi. Egli è ampiamente visto come il salvatore della regione orientale della Libia che a lungo aveva sofferto di emarginazione sotto il dominio di Gheddafi. La produzione petrolifera intanto è scesa a 200.000 barili al giorno numeri potenzialmente bassi se si pensa a quelli del periodo di Gheddafi. Eppure questa situazione di impasse politica in cui si andrà ad inserire l’esercito italiano sembra favorire la regione orientale sempre più spinta dalla tentazione di dichiararsi indipendente.