Trump e la sua agenda politica
“Non ho bisogno dei soldi di nessuno, non userò i soldi dei lobbisti. Userò i miei. Io sono molto ricco, sono davvero ricco, per questo i lobbisti hanno zero possibilità di convincermi o influenzarmi.” Queste le parole di Donald Trump neoeletto presidente degli Stati Uniti d’America. Per molti è la vittoria del fronte contrario alle lobby americane ben rappresentate dalla Clinton. La cosa che stupisce è che in tutti questi anni in cui la politica estera americana è stata orientata dalle lobby non sia mai nata una lobby italiana negli Usa nonostante i milioni di italoamericani. Trump ha vinto facile per certi aspetti investendo su alcuni concetti chiave come il prestigio di coloro che vogliono mantenere la supremazia degli Usa nel Mondo a danni ad esempio della crescita della Cina. “Riporterò i nostri posti di lavoro da Cina e Messico. Riporterò in America i nostri soldi” alcune dichiarazioni di Trump riferendosi alle delocalizzazioni delle imprese americane e alla manodopera a basso costo che fanno concorrenza sleale. Molti sono preoccupati dall’agenda futura di Trump ma se si dà una occhiata in giro per il Mondo le cose vanno a suo favore. L’Europa non è questo grande problema e soprattutto non sarà mai un blocco compatto. Non avrà mai una politica estera comune e sarà sempre più frammentata, con una periferia filoamericana che circonda un nucleo centrale franco-tedesco scettico, comunque alle prese con altri problemi in primis i migranti. In Russia Putin ancora deve prendere le misure sulla politica estera, in quanto fallisce ogni volta che tenta di riaffermare il suo primato sul cosiddetto estero vicino o anche solo di frenare l’avanzata della Nato nel cuore del suo ex impero vedi la questione Ucraina e non solo. La Cina si moltiplica, ma la sua economia è legata a doppio filo a quella americana, per il cui modello di sviluppo nutre spontanea ammirazione. Ma arriviamo al punto cruciale. Per molti Trump sarà una guerrafondaio sfruttando la potenza militare americana in una ottica di hard power. Il suo nemico è lo jihadismo unito alla delinquenza comune. Le tendenze militaristiche di Trump in Medio Oriente non sono un problema per il mondo arabo che aveva già ufficializzato certe scelte indipendentemente dalla vittoria della Clinton o di Trump. L’idea che Trump voglia bombardare tutti in Medio Oriente è più da slogan propagandistico. E’ più probabile che li abbandonerà al loro destino. Il capitolo mediorientale dell’America First di Donald Trump, insomma non è sinonimo né di aggressività, né di interventismo. Più chiara, invece, la sua posizione sui musulmani che sicuramente non piacerà a molti. Per il resto a sentirlo già dal suo primo discorso dopo la vittoria sembrerebbe prevalere l’arte del restraint.