La missione in Niger e i suoi possibili effetti
Il premier Gentiloni lo aveva già annunciato. La missione italiana di contrasto al traffico umano e al terrorismo in Niger sarà “no combat”. A suffragare le parole del premier, il generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa, che ha anche previsto un alleggerimento dei contingenti italiani in Afghanistan e soprattutto in Iraq. A Baghdad resteranno al massimo 4/500 istruttori mentre un migliaio di militari tra forze aeree, elicotteri e fanteria potranno rientrare in Italia. In Niger dovrebbero recarsi poco meno di 500 militari con 150 veicoli e verrebbero schierati nella base francese di Madama. I primi a partire, agli inizi di febbraio, saranno i reparti del genio militare e i paracadutisti della Folgore per un totale di circa 120 unità, accompagnati da due velivoli e due squadre di protezione. Entro la fine dell’anno la quota di soldati italiani dovrebbe raggiungere le 470 unità, che andranno a supportare le truppe francesi e africane già stanziate per contrastare i terroristi del Sahel. Il compito dei militari italiani sarà quello di contribuire all’addestramento delle forze locali e fornire mezzi tecnologici come droni, radar per l’avvistamento di persone in movimento, ricognizione aerea ed elicotteri per agevolare il compito dei nigerini, che non ne sono in possesso. L’Italia non sarà sola perché nella zona già operano i francesi. Ed è proprio la Francia la ragione del nostro intervento in Niger, un modo per dare una mano sostanziosa all’avanzata dei trafficanti di migranti. La rotta principale dall’Africa occidentale passa infatti attraverso il Niger e la Libia per poi arrivare in Italia attraverso il Canale di Sicilia. Dal Senegal, Gambia, Guinea e Costa d’Avorio i migranti si spostano prima a Bamako, in Mali, per poi passare da Ouagadougou in Burkina Faso e raggiungere il Niger. Sui costi della missione ci sono ancora dei dubbi così come sull’utilità della stessa. Alla fine i migranti potrebbero cambiare rotta e seguire principalmente la rotta orientale che dal Corno d’Africa passa attraverso il Sudan e la Libia per raggiungere l’Italia attraverso il canale di Sicilia. Dopo aver attraversato il confine tra Eritrea e Sudan, la maggior parte dei migranti raggiunge Kassala o il campo profughi di Shagrab in Sudan oppure il campo di Mai Aini in Etiopia. Una volta raggiunta Khartoum, i migranti attraversano il deserto verso la Libia con i pick-up. Insomma pur rafforzando la sorveglianza gli abili trafficanti potrebbero tranquillamente spostare i loro flussi verso altre rotte. In Niger il governo è nelle mani di grandi potenze e a detta di qualcuno come don Giovanni De Roberti, direttore della Fondazione Migrantes, serve un esercito di insegnanti visto che di uomini armati ce ne sono anche troppi. Di sicuro l’Italia darà una mano i francesi nonostante sulla questione libica si resta su posizioni e interessi differenti. Infine, ultima minaccia per l’Italia, una ripercussione dei terroristi jihadisti di AQIM che potrebbe seguire alla missione in Niger.