Ecco perché l’Italia ha perso in Libia
L'Italia doveva avere un ruolo chiave in Libia preoccupandosi del giardino di casa propria. Invece ad oggi il governo islamista di Tripoli ci detesta tant'è che a inizio novembre il cimitero cattolico italiano di Tripoli “Hammangi” è stato nuovamente profanato e devastato mentre il governo di Tobruk ci accusa di aver violato le acque internazionali. Soltanto nel cimitero cattolico di Tripoli riposano i resti di circa 8000 italiani. Il governo libico di Tobruk, quello riconosciuto a livello internazionale, aveva invece condannato con fermezza la violazione delle proprie acque territoriali dopo l'ingresso di tre navi da guerra italiane nei pressi delle coste di Bengasi, a Daryana, circa 55 km a est della città. Ovviamente il Ministero della Difesa italiano ha respinto le accuse sostenendo di non aver effettuato nessuna violazione. Il premier Renzi non l’ha mai messo in agenda, ma un tavolo negoziale dove riunire i vari gruppi per la costituzione di un governo stabile in Libia tracciando una road-map poteva essere promosso proprio dal nostro Paese. Quello di cui ha bisogno oggi la Libia è di una identità nazionale che rischia sempre più di vacillare sotto colpi delle forze disgregatrici. Di sicuro l’attuale Libia non vuole truppe straniere nel proprio territorio mentre l’Italia preme per un intervento militare via terra. In merito alle forze di terra, c’è da dire che in passato vennero avviati diversi programmi di addestramento per le nuove truppe libiche, tutti interamente finanziati da Tripoli, in paesi NATO (ma non solo), con l'Italia in prima linea. La prima fase del programma italo-libico prevedeva la selezione di circa 500 soldati da parte di un team di consiglieri militari dell'Esercito Italiano. Di seguito l'addestramento delle forze di polizia da parte dei Carabinieri, e la formazione in Italia, vedi Cassino, di 2.000 unità provenienti dalle 3 regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. L'Italia avrebbe contribuito alla formazione di 5.200 soldati libici secondo un piano triennale. Altri sodati sarebbero stati addestrati nel Regno Unito presso la caserma del British Army di Bassingbourn, nel Cambridgeshire. Altri invece in Turchia presso la scuola di fanteria di Egirdir/Isparta, nella parte sudoccidentale del Paese. Eppure oggi bande e milizie di vario colore e appartenenza etnica, locale o regionale, tutte armate fino ai denti si scontrano quotidianamente in Libia spesso usando il marchio del "califfato" per farsi pubblicità. Che fine hanno fatto i soldati libici addestrati in Europa? Dal suo inizio ad oggi, la missione Eunavfor-Med a cui partecipa anche l’Italia, ha sottratto ai trafficanti di uomini 43 barconi utilizzati per trasportare i migranti, mentre 42 sospetti scafisti sono stati arrestati. Ma il problema dell’Italia oggi nei confronti dell’ex Paese di Gheddafi non è tanto di difesa dai barconi quanto di capacità di intervento nella crisi.