Kalandia, i 30 passi verso la libertà
Kalandia non è un luna park, non è un autogrill autostradale. E’ il check point tra Ramallah e Gerusalemme o per dirla in gergo tecnico un processing terminal. Viaggio a bordo di un minibus con targa palestinese, sono l’unica macchia bianca in un nugolo di arabi. Non posso farmi prendere dalla paura, altrimenti non sarei qui e soprattutto non sarei un giornalista di guerra.
Sono frastornato, non conosco la direzione da prendere, mura alte e spesse da entrambi i lati, filo spinato e soldati israeliani con le mitragliatrici puntate ad altezza d’uomo. Ad un tratto uno di loro mi punta la propria arma addosso. Il diaframma mi si agita con lunghe sospensioni con le parole in ebraico del soldato come se provenissero dall’eco di un pendolo. Sono secondi di panico prima che una donna mi indirizzi lungo un passaggio esterno riservato ai pedoni verso uno stretto corridoio tra gabbie metalliche.
Con me ci sono donne con il velo, anziani, bambini, studenti, lavoratori che si affollano negli oscuri corridoi in attesa di imboccare le strette porte girevoli di ferro, prima di poter esibire i documenti ai militari dietro una finestra vetrata e blindata.
Dall’altra parte la strada verso Gerusalemme. Le voci della città al di là dei muri giungono attutite fino a qui. A volte a Kalandia capita che un’ambulanza palestinese deve fermarsi in attesa che arrivi quella israeliana con targa gialla per il trasferimento dall’altra parte e se ritarda le donne partoriscono sotto gli occhi dei soldati che sono autorizzati ad assistere.
Non c’è famiglia che sostiene le scelte dei giornalisti di guerra, tuttavia il pensiero dei propri cari si può rivelare fondamentale in teatro operativo perché da un lato è un motivo in cui cercare di scappare alla pallottola, dall’altro il peso di sapere che la propria scelta condiziona le vite degli altri.
E’ capitato anche a me il momento di lasciare tutto quello che mi circonda, per così dire il resto del mondo. Durante il viaggio verso Ramallah l’ho vista scrivere con le sue mani dolci, a tratti nervose, con la testa china sul display del cellulare, concedendomi un piccolo pezzo della sua magia d’amore. I suoi nuovi occhialini rettangolari che scivolavano leggermente sul suo naso prima che la sua immagine si dissolvesse per lasciare spazio all’ombra dell’incertezza e ad un unico interrogativo. La rivedrò? …Poi il volto del soldato con il suo mitra, isterico, quasi a voler pregustare le minacce che mi avrebbe inferto fino alla salvifica voce della donna che mi riconduceva verso la libertà.