La connection jihadista con l’Uzbekistan
L’attentatore di New York, Sayfullo Saipov, 29 anni è solo l’ultimo della lista. Quarto terrorista originario dell’Uzbekistan a colpire in Occidente in questo massacrante 2017. La connection Uzbekistan-Isis è rintracciabile nei numerosi militanti uzbeki nelle fila del sedicente Stato Islamico durante la guerra in Siria. Prima della Siria tutto era cominciato con l’attentato alle torri gemelle, quando il tedesco Der Spiegel nel settembre 2010, svelava i piani della cellula di Amburgo, accusata di avere avuto un ruolo diretto nelle stragi dell’11 settembre. Il trait d’union di allora era Ahmad Siddiqui, 36 anni, membro del Movimento islamico dell’Uzbekistan. La storia di replicò tre anni dopo il 17 maggio del 2013 quando Fazliddin Kurbanov venne arrestato nell’Idaho perché trovato in possesso dei componenti necessari a costruire un ordigno esplosivo. Non solo: secondo la polizia, nei mesi precedenti l’uomo aveva fornito software e denaro al Movimento Islamico dell’Uzbekistan. Il Miu, Movimento Islamico dell’Uzbekistan, viene costituito formalmente nel 1998 a Kabul su iniziativa di Tohir Yo’ldash, un giovane mullah uzbeko, abile oratore e discreto organizzatore. Accanto a lui, alla guida del movimento, un ex soldato dell’Armata Rossa, Juma Namangani. I due avevano preso parte in precedenza ad un primo tentativo da parte di alcuni militanti islamici di istituire un califfato nella valle di Fergana (nella città di Namangan, precisamente) nel 1991. Yo’ldash e Namangani contribuirono a creare il partito Adolat (Giustizia). Moschee e madrase vennero finanziate da Adolat e cominciarono a diffondersi in tutta la valle di Fergana, sia sul versante uzbeko sia su quello kirghiso. Tutto ciò non piacque al regime uzbeko che accusava di wahhabismo Adolat costringendo i suoi seguaci all’esilio. Una volta lasciato l’Uzbekistan, Yo’ldash si rifugiò all’estero, dapprima in Tagikistan, poi in Pakistan, Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti e Turchia, alla ricerca anche di supporto finanziario. Dopo l’esperienza di Adolat il regime divenne sempre più severo con gli estremisti. Gli imam vennero indicati dal governo così come le scuole islamiche vennero poste sotto il controllo della politica. I pellegrinaggi alla Mecca vennero concessi dopo uno stringente processo di valutazione. Molti attivisti furono arrestati e sottoposti a pene durissime. Esiste anche una lista nera con i nomi delle circa 18mila persone considerate vicine agli ambienti estremisti. Oggi il Movimento islamico dell’Uzbekistan ha forti legami con buona parte dei gruppi terroristici di matrice islamica tanto che dal 2014 è affiliato al presunto Stato Islamico, e dal novembre dello stesso anno molti suoi membri combattono al fianco dei Taliban in Siria. Ora che la guerra è terminata in molti si stanno trasferendo in varie zone dell’Occidente per compiere attentati. Saipov era arrivato in America nel 2010 vincendo una green proprio mentre in Uzbekistan il regime non faceva sconti agli estremisti costringendoli ad emigrare oppure a ribellarsi abbracciando idee estremisti più per disperazione che per ideologia.