La fine di Daesh in Iraq e il rischio di iranizzazione
Con una solenne cerimonia il primo ministro iracheno Al-Abadi ha proclamato la vittoria contro l'Isis nel Paese, tre anni e mezzo dopo la conquista di vaste aree a nordovest di Baghdad da parte del Califfato. Le forze governative hanno ripreso “il totale controllo della frontiera con la Siria”, nonostante qualche scaramuccia proprio mentre Al Abadi faceva il suo discorso. Sulla guida dell’Isis, Al Baghdadi non si hanno ancora notizie certe. Morto o ancora vivo? Di sicuro il numero dei miliziani dell’Isis in Iraq dai 40.000 di inizio guerra è sceso a poco meno di 3.000. Il merito è sicuramente delle forze armate irachene ma non solo. Gli Stati Uniti dal 2014 sono tornati a impegnarsi in Iraq impiegando circa 5.000 uomini (soprattutto forze speciali) e spendendo più di 10 miliardi di dollari per la guerra all’Isis. D’altra parte l’Italia attraverso il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva inviato ai peshmerga 500 mitragliatrici MG 42/59, 100 mitragliatrici 12.7, 250mila munizioni per ciascuna delle due tipologie di armi (materiale nazionale), 1.000 razzi rpg7, 1.000 razzi rpg9 e 400mila munizioni per mitragliatrici di fabbricazione sovietica. Una copertura finanziaria di circa 1,9 milioni di euro per difendersi dalle minacce jihadiste. Inoltre i fanti della brigata Friuli, già veterani dell’Afghanistan, erano partiti alla volta di Mosul per difendere la gigantesca diga, la cui ristrutturazione era stata affidata ad una ditta italiana. Infatti proprio la Trevi si è aggiudicata l’appalto di 273 milioni di euro per rimettere in sesto la struttura. La missione Prima Parthica, dei 1500 soldati italiani in Iraq, ha avuto il compito di difendere proprio la grande diga, punto geopolitico fondamentale. Eppure tra i marines e la brigata Friuli hanno avuto un ruolo non indifferente le Popular Mobilization Units (PMU), le milizie e le forze paramilitari a maggioranza sciita, sostenute finanziariamente e dall’Iran. Secondo un report del Senato americano in Iraq i miliziani sciiti sarebbero tra 100.000 e le 120.000. Gli analisti a questo punto temono una sorta di “iranizzazione dell’Iraq” vista la cacciata ormai definitiva dei miliziani dell’Isis. Insomma il rischio è quello di assistere a ciò che è già successo in passato nel Libano con gli Hezbollah sostenuti dall’Iran. Se ciò dovesse succedere sarebbe un problema serio per Trump che intanto in Medio Oriente si gioca la carta Israele, riconoscendo Gerusalemme come capitale e alimentando la collera dei palestinesi. La partita geopolitica in vista delle festività natalizie è più aperta che mai con i soliti attori e forse uno in meno: Daesh, le cui reazioni negli ultimi tempi sono state alquanto flebili.