Dodici presidenti, mai una donna. E probabilmente non succederà neppure questa volta. Eppure, la Costituzione non fa differenza tra uomini e donne per eleggere un presidente della Repubblica: basta aver compiuto 50 anni. Eppure, nel mondo, ormai, i capi di stato o di governo donne, recenti e attuali, non si contano più: si va da Angela Merkel alla regina Elisabetta, da Michelle Bachelet (Cile) a Dilma Roussef (Brasile). Perché’ dunque non ci si riesce solo in Italia?

Nel 1946 l’Uomo Qualunque candida la baronessa Buscemi.

Per almeno trent’anni, fino alle elezioni presidenziali del 1978, nessun nome femminile figura nei verbali degli scrutini delle elezioni alla presidenza della Repubblica (elezioni del 1948, 1955, 1962, 1971). Alle elezioni del Capo provvisorio dello Stato (1946), però, il movimento dell’Uomo qualunque, guidato dal commediografo Guglielmo Gianni, vota in blocco (32 voti), come candidato di bandiera, la baronessa Ottavia Penna di Buscemi. Antifascista ma anche anticomunista, laica ma anche monarchica, e’ “l’unica donna qualunque presente a Montecitorio”, gonfia il petto Guglielmo Giannini, commediografo e giornalista, fondatore dell’Uomo Qualunque, che la candida “contro un mondo politico incancrenito” e la presenta cosi’: “Una donna colta, intelligente, una sposa, una madre”. Ma sono, appunto, le elezioni per il Capo provvisorio dello Stato che vedranno primeggiare subito De Nicola.

La senatrice Anna Finocchiaro (Pd)

La senatrice Anna Finocchiaro (Pd)

Un lungo silenzio sulle donne candidate al Quirinale.

Da allora in poi, cala un lungo silenzio, nelle elezioni presidenziali, sui nomi femminili. Nessun nome viene contabilizzato nelle elezioni del 1948, 1955, 1962. In altre due tornate, quelle del 1964 e del 1971, due donne ottengono un solo, misero, voto. Nel 1964, quando Saragat viene eletto presidente, va alla dicci’ Elisabetta Conci, tra i fondatori del Ppi. Nel 1971 le cronache parlamentari registrano sempre un voto singolo per Ines Boffardi, deputata genovese della DC. Solo che quel nome suscita le battute impertinenti di un paio di parlamentari, subito bacchettati da Sandro Pertini, allora presidente della Camera: “C’è poco da ridere, onorevoli colleghi: anche una donna può diventare presidente, sapete?”.

Bisogna aspettare le elezioni presidenziali del 1978, alla fine vinte proprio da Sandro Pertini, per veder comparire, nei verbali degli scrutini, due nomi di donne regolarmente registrati: quello della giornalista e scrittrice Camilla Cederna (quattro voti), grande accusatrice, negli anni passati, dell’ex presidente Leone, e quello della vedova dello statista dc Aldo Moro, ucciso un mese prima, Eleonora Moro (tre voti).

Le candidature Anselmi e Jotti, che resta ad oggi la donna più votata.

Nel 1985, alle elezioni che portano al Colle Francesco Cossiga, i voti per la Cederna salgono ad otto e compare il nome di Tina Anselmi (tre voti), staffetta partigiana, a lungo deputata Dc e fresca presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Un nome istituzionale che si affianca a quello di Nilde Jotti (tre voti). Ma è solo nel 1992, quando viene eletto Oscar Luigi Scalfaro, che nascono ben due “vere’ candidatura di una donna per il Quirinale. La prima e’, appunto, quella di Nilde Jotti. Sul nome dell’ex presidente della Camera dal 1979, poi riconfermata a tale carica per tre volte consecutive (caso unico nella storia repubblicana), storica compagna del leader e segretario del Pci nel II dopoguerra, Palmiro Togliatti, e deputata del Pci, i grandi elettori del Pds fanno quadrato per ben otto scrutini contro le diverse, e fallimentari, candidature della Dc. La Jotti raccoglie prima 183, poi 245 e infine 256 voti che ascolta dal suo banco con elegante distacco. E resta, ancora oggi, proprio della Jotti il record di preferenze (256 voti) ottenuto da una donna in uno scrutinio singolo per l’elezione a capo dello Stato. In quell’occasione, ottengono voti anche la stessa Tina Anselmi (18 voti al IX scrutinio) e Aureliana Alberici, all’epoca compagna del segretario del Pds, Achille Occhetto (due voti).

Le candidature senza successo di Jervolino e Bonino.

Nel 1999, quando viene eletto Carlo Azeglio Ciampi, due donne vengono candidate al Colle seriamente, ma prima che inizi la corsa ufficiale. Una è Rosa Russo Jervolino: deputata della Dc ed ex ministro all’Istruzione, poi all’Interno, è uno dei nomi su cui il centrosinistra ragiona in vista del Colle, ma in nome della ricerca di un accordo con l’allora Polo delle Liberta’ il nome della Jervolino, invisa a Berlusconi, viene subito scartato. L’altro nome è quello della storica esponente radicale, poi ministro degli Esteri e commissario della Ue, Emma Bonino che però viene candidata da un largo movimento d’opinione, specialmente via web, con una forte campagna mediatica che raccoglie molte adesioni popolari, ma che a differenza della Jervolino, non e’ mai presa in considerazione dai partiti per le candidature ufficiali. La corsa della Jervolino (16 voti) come della Bonino (13 voti), del resto, neppure inizia. Ciampi, infatti, viene eletto subito, al I scrutinio.

L’ultimo nome di donna, quello di Anna Finocchiaro.

Alle elezioni del 2006 che vedono salire al Colle Napolitano, il solito movimento di opinione, supportato dai Radicali, ripresenta il nome della Bonino, anche in questo caso senza successo, mentre l’Idv vota in blocco la sua candidata di bandiera, Franca Rame (24 voti) e tre voti ‘perfidi’ compaiono per la compagna di D’Alema, Linda Giuva, ma candidature femminili vere e proprie non vengono avanzate, almeno non seriamente. Per vedere uscire, nelle trattative dei partiti, un nome ‘serio’ di donna candidato al Colle, bisogna attendere il 2013. Il nome e’ quello di Anna Finocchiaro. Il nome della senatrice E allora capogruppo del Pd al Senato lo mette, nella sua ‘rosa’, l’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e lo presenta anche s Berslusconi. Anche sette anni prima, nel 2006, era circolato il suo nome, ma senza speranze concrete. Lo stop alla corsa della Finocchiaro arriva da Matteo Renzi, due anni fa ‘semplice’ sindaco di Firenze e che neppure figura nell’elenco dei Grandi elettori: “Finocchiaro la ricordiamo per la splendida spesa all’Ikea con la scorta a fargli da carrello umano…”. Lei non la prende bene e definisce Renzi e i suoi attacchi quelli di un “miserabile”, ma la sua corsa, nel 201, finisce li’. Oggi che e’ presidente della I Affari costituzionali del Senato e segue passo passo l’iter delle riforme torna forte il suo, di nome come unica donna candidata al Colle.