Matteo Renzi parla alla Direzione del Pd

Matteo Renzi parla alla Direzione Nazionale del Pd

“Favorevoli 316, contrari 137. La Camera approva”. Quando, ieri mattina, alla Camera, passa la riforma della scuola (prima lettura), ai renziani presenti a Montecitorio e che escono, mesti, dall’Aula, sta per venire uno stranguglione. Alla minoranza dem, invece, che consulta, frenetica ‘confusa e felice’, i tabulati del voto, torna lesto il sorriso. Con tanto di Cuperlo, Speranza, Fassina, D’Attorre, Stumpo, Zoggia, Leva (solo Bersani non si è visto, come pure Enrico Letta) ieri attorniati (e circuiti…) dai giornalisti come non accadeva da mesi. Almeno dal no alla fiducia sull’Italicum.

Ma que pasa? Accade che il ddl scuola passa, ovviamente, perché non era richiesta la maggioranza del plenum dell’assemblea (315+1, cioè, vuol dire il ddl sarebbe passato lo stesso, per un solo voto), ma la maggioranza è, appunto, striminzita. Era dai tempi del Jobs Act che una riforma targata Matteo Renzi non aveva un ‘consenso’ parlamentare così basso, alla Camera: 316 i ‘sì’ allora e 316 ieri. Due riforme cui il premier teneva (e tiene) molto.
Due i problemi, però, paralleli e conseguenti: l’opposizione della minoranza Pd (diversamente modulata, come al suo solito: pochissimi i no, molti gli assenti, tante le astensioni, più vari voti favorevoli ma con ‘dissenso motivato’, etc. etc. etc.) e il successivo approdo, che non sarà un tappeto di rose, al Senato. Ed è proprio su Palazzo Madama che i riflettori di Renzi, una volta passato il giro di boa delle Regionali (6 a 1 l’auspicio, ma con tanti patemi d’animo che si accentrano, ormai, tutti e solo sulla Liguria), saranno puntati. Perché è lì che la minoranza promette e – tutti dicono – stavolta effettivamente darà battaglia. Il famoso Vietnam.
Il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi

Il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi

Alla Camera, ‘quota 316’, invece, non crea grattacapi. “E’ la maggioranza assoluta, per cui diciamo che è andato bene pure il voto sulla scuola”, assicura il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi, che tende a vedere il bicchiere mezzo pieno forse anche perché la presenza delle opposizioni era, appunto, scarsina (137 votanti su un pacchetto di voti che, sulla carta, supera le 250 unità…).

A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto c’è, invece, la sinistra Pd. In 40, tra i deputati dem, non hanno votato il testo, 28 per scelta ‘politica’. Volendo andare di tabellino, sono otto in meno dei 36 (erano 38, in realtà, ma prima delle uscite di Vaccaro e Civati) sull’Italicum. A loro, però, vanno aggiunti – oltre ai cinque deputati di Scelta civica, assenti non motivati, e al ‘no’ della De Girolamo (Ap) – quei deputati che, pur votando il ddl, si sono appellati, con una lettera promossa da Speranza e Cuperlo, ai colleghi senatori (cioè i loro corrispettivi della minoranza Pd, che al Senato è agguerritissima e conta almeno su 24/25 pasdaran) per ‘migliorare’, dal loro punto di vista, la riforma. Riforma che partirà dalla commissione Istruzione, dove siedono tre democrat tostissimi: Tocci, Mineo e Claudio Martini, ex governatore della Toscana e anti-renziano.
La ‘forchetta’, insomma, a Montecitorio resta ampia (la maggioranza conta, sempre sulla carta, su quasi 400 voti), ma a Palazzo Madama (quorum del plenum:161 voti) sarà tutto un altro film. La maggioranza lì può contare su circa 170/175 voti (112 senatori Pd, 36 centristi, 19 di Autonomie, 3/4 del Gal su 15 e 3/5 del Misto: Della Vedova, il senatore a vita Monti, le new entry ex azzurre Bondi e Repetti) contro un’opposizione che, ma sulla carta, conta circa 145 voti. Una defezione della sinistra dem potrebbe essere fatale. A meno che, si capisce, le truppe ‘verdiniane’ non giungano in soccorso.

NB: Questo articolo è stato pubblicato a 9 del Quotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net) il 21 maggio 2015