Pietro Ingrao e Enrico Berlinguer

Pietro Ingrao, morto oggi a Roma all’età di cento anni, è stato uno dei più importanti dirigenti del Pci. Anche se non ha mai, paradossalmente, ricoperto ruoli di reale guida e leadership del maggior partito comunista occidentale, la sua influenza e il suo stesso ‘magnetismo’ sulle generazioni dei comunisti più giovani, fu sempre altissimo. Semmai, si può rimproverare a un comunista lucido, e pure tormentato, come Pietro Ingrao, di non aver portato fino alle estreme conseguenze il portato delle sue critiche più radicali, l’uscita dal partito-chiesa (il Pci, appunto), se non nell’ultimo scorcio della sua vita, quando Ingrao rifiutò la trasformazione del Pci in Pds, aderì – dopo alcuni tentennamenti – al Prc di Cossutta (con cui non era mai andato d’accordo, ai tempi del Pci) e di Bertinotti e, alla fine, alla SeL di Nichi Vendola, rompendo per sempre la tradizione dell’unanimismo (e del conformismo) comunista che impediva, di fatto, pur nella diversità anche radicale di opinioni, la scissione dal partito-chiesa.

Nato a Lenola, in provincia di Latina, il 30 marzo del 1915, da una famiglia di proprietari terrieri dell’alta borghesia locale, ma con radicate tradizioni liberali (il nonno, Francesco Ingrao, era un mazziniano), secondogenito di una famiglia di quattro figli, Ingrao non si vergognò mai delle sue radici popolari e, in particolari, ‘ciociare’, fino a farle diventare quasi un vezzo nell’eloquio e nell’accento: si sentiva un uomo del popolo, comunista perché ‘popolano’, non un raffinato intellettuale (che pure divenne) forbito e prestato alla politica, come molti esponenti dell’intellighentzia comunista. Trasferitosi con la famiglia a Roma, dove prese la laurea sia in Giurisprudenza che in Lettere e Filosofia, Ingrao tra il 1934 e il 1935 frequentò il Centro sperimentale di cinematografia, come allievo regista: la sua prima, vera, grande passione, era (e poi rimase, per tutta la vita) il cinema: voleva fare l’attore o il regista. Nel 1936, in seguito all’aggressione franchista alla Repubblica spagnola, intensificò i contatti con altri giovani antifascisti, e, tramite questi, con l’organizzazione clandestina del Pci. Tra i cospiratori c’erano sono Lucio Lombardo Radice e sua sorella Laura, di cui Pietro si innamora e che poi sposerà. Ciò non toglie che Ingrao prese parte, attivamente, ai Guf (i Gruppi universitari fascisti), partecipò ai Littoriali con poesie inneggianti al fascismo e, insomma, fu un giovane ‘illuso’ (e poi ‘deluso’) dal regime mussoliniano, cosa che, più avanti, gli venne più volte rinfacciata e che lui stesso rilesse e rivide con tratti fortemente autocritici.

Nel 1942, dopo l’arresto di molti componenti del suo gruppo, Ingrao entrò in clandestinità, operando tra Milano e la Calabria nel l’ambio del Cnl, lavorò i all’edizione clandestina dell’Unità, prima a Milano e poi a Roma, dove nel 1944 entrò nel comitato clandestino della federazione del Pci. Nel giugno del 1944 sposò Laura Lombardo Radice inella Roma appena liberata. La prima figlia, Celeste, nacque nel 1945; seguiranno Bruna (1947), Chiara (1949), divenuta poi, a sua volta, parlamentare del Pci, pacifista e traduttrice provetta, Renata (1952) e Guido (1958), che gli diedero, negli anni, una folta schiera di nipoti e pronipoti. Nel 1947 Ingrao venne nominato direttore dell’Unità, incarico che ricoprirà fino al 1956. Nel ’48 entrò nel comitato centrale del Pci e venne anche eletto deputato per la prima volta: venne rieletto per dieci legislature consecutive, fino a quando, nel 1992, chiederà di non essere ricandidato perché, appunto, contrario alla ‘svolta’ di Occhetto che fece nascere il Pds.

Nel 1956 entrò nella segreteria del Pci, dove restò per dieci anni. Nello stesso anno, visse drammaticamente la repressione della rivolta ungherese: si schierò a fianco dell’URSS, cosa di cui anni dopo si pentì pubblicamente, con un editoriale (‘Da una parte della barricata’), ispirato direttamente da Togliatti, che prendeva esplicitamente e duramente posizione contro la rivoluzione nazionale ungherese e a favore della durissima repressione sovietica. Da allora in avanti le sue posizioni si svilupparono e maturarono profondamente nel senso di una profonda rivisitazione del rapporto tra ‘Masse e Potere’ (nel 1976 titolo di un suo famoso saggio teorico) e di una evoluzione ‘movimentista’ e ‘progressista’ del Pci nel tentativo di collegarsi ai moti giovanili e di contestazione che iniziavano ad agitarsi in Europa, all’Ovest come all’Est, e negli Usa, e in netta antitesi all’ala amendoliana (il cui leader era Giorgio Amendola) e che invece puntava a una riedizione del ‘Fronte delle Sinistre’ con il Psi e a una parlamentarizzazione dell’evoluzione del boom (e, poi, della crisi) del capitalismo italiano. All’XI Congresso del Pci nel 1966, Ingrao, non a caso, rivendicò il “diritto al dissenso” (“Non posso dire che mi avete persuaso” la frase accolta dal gelo della dirigenza quanto dagli applausi dei delegati); diventando il punto di riferimento per l’ala sinistra del Pcie di tutti coloro che volevano rompere con lo stalinismo ma anche con una visione ‘statica’ e ‘parlamentarista’ della presenza del Pci nella società italiana. L’espulsione dal partito dei fondatori della rivista ll manifesto, cui Ingrao era molto legato (e che, anzi, da lui traevano le loro analisi sulla sinistra di classe in Italia e il ruolo del Pci) rappresentò per lui un momento di crisi profonda, anche sul piano personale, perché Ingrao, dopo averli appoggiati e incoraggiati, ne snacì e ne votò, con tutti gli altri esponenti del CC del Pci, la loro espulsione.

Eppure, Ingrao non interruppe l’intenso dialogo con loro e soprattutto con i movimenti sociali, esplosi in Italia nel “biennio rosso” 1968-’69, in particolar modo con le lotte operaie e l’esperienza innovatrice del “sindacato dei consigli”, di cui diventa una sorta di ‘papa laico’ nel Pci contro il ‘centro’ berlingueriano e la ‘destra’ amendoliana (del resto, non solo con Amendola, ma anche con Berlinguer, sia pure sottotraccia, gli scontri di Ingrao furno epici: la teoria e la pratica del compromesso storico non lo trovarono mai concordi, anzi: all’opposizione, sempre ‘da sinistra’). 
Nel 1968 Ingrao viene eletto presidente del gruppo parlamentare comunista della Camera dei Deputati: si apre così una nuova stagione di impegno e di riflessione sui temi istituzionali, che lo portarono, nel 1975, alla carica di presidente del Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato (CRS) e, il 5 luglio 1976, all’elezione a presidente della Camera dei Deputati. E’ in questa veste, nel 1978, che Ingrao vive in prima linea i giorni drammatici del sequestro e dell’assassinio del Presidente Dc Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Rimasto in carica fino al 1979, anno in cui chiese di essere sollevato dall’incarico, Ingrao si pone su un crinale di riflessione e di studi che, dalla teoria di ‘Masse e Potere’, in cui teorizzava apertamente l’ingresso delle masse nelle istituzioni in una sorta di presa del potere simile a quella dei Soviet nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, si sviluppò su versanti di ricerca e di ‘contaminazione’ con culture progressiste e fortemente radicali ma ‘non’ marxiste o, almeno, ‘a-marxiste’: l’ecologismo, il pacifismo, il terzomondismo e nuove forme di ‘classismo’.

Il 1989, con il crollo del Muro e la dissoluzione dei Paesi dell’Est, coglie Ingrao già lontano da ogni forma di marxismo e di comunismo ortodosso, ma anche sempre più nelle vesti del guru e del pensatore lontano, volutamente, da ogni forma di potere personale, che del leader politico, altra critica spesso risuonata nei suoi confronti, come quella di non aver mai voluto davvero ‘dare battaglia’, dentro il Pci, per diventarne il leadere. In ogni caso, Ingrao si oppose, pur tra vari tentennamenti, alla svolta di Achille Occhetto che trasformò il Pci in Pds, ma restando contrario ad ogni ipotesi di scissione. Nel 1991 aderì al Pds, come leader dell’area dei Comunisti Democratici, ma il suo ‘NO’ alla prima guerra del Golfo e il suo pacifismo, sempre più radicale e integrale, lo allontanarono subito dal Pds e dalle sue scelte, prima ancora che le decisioni e le posizioni di politica interna . Abbandonato definitivamente il Pds nel 1993, Ingrao aderì, più avanti, a Rifondazione comunista, cui è rimasto iscritto fino al 2008, ma con un ruolo più da testimonial a cortei, manifestazioni, scioperi, che realmente attivo, come pure quando, negli ultimissimi anni, espresse le sue preferenze, più che contro il Pd, per la Sel di Vendola. Tra la fine del secolo e i primi anni del nuovo millennio, Ingrao si è dedicato soprattutto all’attività di riflessione e di scrittura, senza però rinunciare ad un impegno diretto sui grandi temi del nostro tempo che già ne avevano acceso, da anni, l’attenzione (la pace, il razzismo, le lotte operaie, la democrazia). Nel 2007 ha pubblicato la sua autobiografia e forse il suo libro più bello, Volevo la luna (Editori Riuniti), titolo evocativo della lunga vita.

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2015 in versione originale per il sito Quotidiano.net (http://www.quotidiano.net)