Il Sindaco vieta di giocare a calcio in piazza...
 
UNA SORTA di «violenza sui minori». Un po’ forte, lo so.
Ma lo penso. Il diktat del Comune di Villasanta – pallone bandito dalla piazza del paese, perché brutto, sporco e cattivo — non è una primizia. Lungo la Penisola, tra i sindaci, è una delle ordinanze più trendy . Vade retro, pedate: un vero e proprio pericolo pubblico!
Sarà. In piccola parte lo è, forse. Eppure, la Convenzione sui diritti dell’infanzia dell’Unicef (non carta straccia) fra i suoi dogmi prevede il «diritto al gioco». Anche del pallone, specifico io. I piccoli finiti nel mirino, sono quelli che escono da scuola e, come una liberazione, si sfogano in piazza, affannandosi felici a caccia di un gol, di un sorriso. Loro giocano – giocano! – mentre mamme e nonni chiacchierano, coltivano relazioni: è l’essenza di una piazza.
Qualche pallonata può arrivare, certo, ma non ricordo di nessuno finito all’ospedale, per un tiro di un «pulcino». E cosa possono spaccare, in una piazza ampia e invero un po’ triste? Il provvedimento sa tanto di un semplice fastidio di qualcuno, un po’ arido.
Il gioco per i bambini è terapeutico e, se ben vissuto, non c’è niente di più educativo. Il calcio, in particolare! Aggregazione, integrazione, condivisione di obiettivi (concetto di squadra), rispetto delle regole, di se stessi e degli avversari: cosa c’è di più istruttivo per dei pargoli?
Invece no, si vuole castrare: proprio il calcio di strada, senza vincoli, dove i piccoli possono sprigionare la loro energia, la loro creatività, la loro voglia di vivere.
Singolare, poi, laddove il vicesindaco Dario Vivaldi sostiene, « possono andare sui pattini, in bicicletta, tutto, ma a pallone no» . Domanda: gentile assessore, si rende conto di quanto un bambino sui pattini o in bici sia molto più pericoloso per i passanti? Non crede?
Tant’è. Il divieto è arrivato e si minacciano multe di 50 euro. Chissà, magari qualcuno bucherà anche i terribili palloni? Non era più semplice un cartello del tipo «Puoi giocare a pallone, ma stai attento: la piazza è di tutti, viviamola insieme in sicurezza e gioia».
Il cartellino rosso sembra davvero eccessivo, dannoso (utile solo dopo le 21, per evitare schiamazzi di giovanotti troppo accesi). Le multe poi… se dovesse capitare, son pronto a una colletta per il povero bambino sanzionato. E a tornare con lui e tanti altri amici, il giorno dopo, a giocare in piazza. Vicesindaco invitato: io porto il pallone, vuole fare l’arbitro?
 
 
L’INTERVENTO DI MATTEO RADAVELLI, PSICOLOGO DELLO SPORT
 
Matteo_Radavelli
«QUANDOla regola sembra più un’ingiusta punizione che un modo per promuovere il benessere della comunità». Questo è quello che mi è immediatamente passato per la testa apprendendo, con un certo stupore ed una nota amara, la scelta del comune di Villasanta di vietare il gioco del pallone nella sua piazza principale.
Amaro che difficilmente scompare pensando che a subire gli effetti di questa scelta saranno proprio i più piccoli; perché se è condivisibile ed apprezzabile il tentativo di tutelare la popolazione, i beni pubblici ed i commercianti, dagli schiamazzi e dalla foga degli adulti, che in tarda serata si ritrovano nella piazza per il calcetto del giovedì, è altrettanto discutibile pensare ed estendere queste responsabilità a bambini della scuola elementare che, terminato lo studio, vogliono sfogarsi con gli amici, magari sotto l’occhio vigile dell’adulto, che tra un saluto ed una parola con un altro genitore condivide questo momento di aggregazione con il figlio.
Amaro che probabilmente allora proverà anche lui quando dovrà imporre una regola che non comprende o non condivide.
Del resto viene insegnato che la piazza è uno degli spazi sociali per eccellenza e personalmente stento a credere che ci sia qualcosa di diverso dalla socializzazione in quattro calci al pallone dopo la scuola.
Amaro che ritrovo pensando al divieto esclusivo per il gioco del calcio, necessariamente non più pericoloso di altri, per le motivazioni lette, ma sicuramente tra i più popolari, almeno fra i maschietti.
Per questo penso che, per riprendere il mio primo pensiero, la nuova regola sembra più un’ingiusta punizione che un modo per promuovere il benessere della comunità.
Senso civico e morale non possono essere assoggettati da un cartello.
*Psicologo, specializzato in psicologia dello sport
 
E quello di Filippo Galli, ex campione del Milan
 
È LA SUA città d’origine. Chissà, magari lui stesso avrà sgambettato qualche volta, da piccolo, dietro un pallone nella piazza del Municipio. Filippo Galli, ex campione del Milan da tempo responsabile del vivaio rossonero, di pallone e bambini, ne sa qualcosina… Alla notizia del divieto deciso dal Comune, riflette, invocando anzitutto «buonsenso».
«Non voglio schierarmi nè pro nè contro – spiega Galli, che tra l’altro ha appena iniziato a collaborare con la Cosov, la società cittadina, ribaltandola da Scuola calcio Inter a Scuola calcio Milan – perchè dovrei conoscere prima a fondo il provvedimento, le sue motivazioni, la struttura e i reali pericoli della piazza». Per principio, però, non può negare una predilezione per il calcio e i ragazzi che lo amano, piuttosto che per imposizioni e sanzioni.

«POSSO SOLO dire che non capisco bene le ragioni di questo divieto – ragiona – e credo che utilizzando il buonsenso uno scoglio come questo si possa superare. Immagino che ci possa essere qualche problema di sicurezza, forse, per le strutture pubbliche, ma penso si possa trovare una soluzione per accontentare tutti, Comune e bambini, in particolare proprio questi ultimi, che devono potersi esprimere nel gioco».
Una soluzione potrebbe essere quella di trasformare i cartelli di divieto in cartelli di semplice «sensibilizzazione e monìto», affinchè ci sia la massima attenzione nel gioco, sotto la sorveglianza degli adulti.
E, magari, installare il divieto solo per le ore serali, quando la piazza può finire in mano a compagnie di ragazzi un po’ troppo scalmanati, allora sì, creando disturbo per la quiete pubblica e problemi alle strutture.
Di certo, la giunta una riflessione la deve fare: per non spegnere la vitalità del cuore del paese, per non negare un diritto ai piccoli che escono dalla scuola.