A più di due anni dalla stesura e dalla sottoscrizione, ad Istanbul (11 maggio 2011) solo 4 stati del Consiglio d’Europa su 26 firmatari hanno ratificato la “Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”: Turchia, Portogallo, Albania e Montenegro A questi si unisce ora l’Italia, dopo l’approvazione in Camera e Senato delle scorse settimane.

A quando l’entrata in vigore?
Le misure previste dalla convenzione, che la Ministra degli Esteri Emma Bonino riassume, plaudendone, nelle “tre p”, ovvero prevenire la violenza, proteggere le vittime, punire i colpevoli, rischiano dunque di restare ancora a lungo lettera morta in quanto solo quando il documento sarà legge in almeno 10 stati (è bene tenere presente che, ad oggi, Usa, Messico, Giappone, Canada e Santa Sede non l’hanno neppure preso in considerazione), di cui almeno 8 del Consiglio d’Europa, potrà prendere vita (tempi tecnici previsti, 1 anno e mezzo) il Grevio, acronimo di GRuppo di Esperti contro la VIOlenza sulle donne e la violenza domestica, formato da un minimo di 10 membri (che godranno dell’immunità) il cui compito sarà quello, una volta adottato un proprio regolamento interno (ci vorranno altri 6 mesi?), di verificare l’osservanza dei dettami della convenzione, stilare rapporti raccomandare misure da adottare e scadenze, rapportarsi con i parlamenti ma anche con organizzazione non governative e società civile, effettuare sopralluoghi.
Siamo dunque ad oggi solo a metà stada, con 5 stati su 10, ma è inutile nascondersi che la Convenzione, dato che saranno necessari investimenti, potrà avere un peso significativo solo qualora venisse ratificata anche in Francia, Germania (che ha aderito ma con delle riserve), Gran Bretagna e Spagna, la quale intende addirittura vincolare la ratifica ad un referendum.

Cosa sta facendo l’Italia?
Certo, il Governo italiano, si è comunque vincolato al rispetto delle prescrizioni e, se l’adesione non è stata solo di facciata, può già renderle operative. Ma servono provvedimenti, leggi (nuove o da adeguare) e, soprattutto, soldi. E qui la nota si fa dolente.
La ministra alle Pari Opportunità, Josefa Idem, ha già lanciato una ‘task force’ per creare un Osservatorio sulla violenza di genere (previsto dalla Convenzione), intende istituire un numero verde per gli uomini maltrattanti, ha chiesto la collaborazione dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap) per contrastare in tempi più rapidi le pubblicità lesive della dignità della donna (ma peggio fanno le formule persuasive degli stereotipi): tutti passaggi importanti anche se si rischia di procedere a step senza che si arrivi al nodo della convenzione, ovvero al “raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto”, prevista dalla legge ma anche effettiva, che rende dunque necessario uno scardinamento della società patriarcale con politiche, soprattutto di prevenzione, efficaci, globali e coordinate.

Cosa prevedono gli 81 punti della Convenzione?
La premessa della convenzione (e c’è già di chi parla di testo femminista e ne invoca l’incostituzionalità, per questo), è che la violenza contro le donne “è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”. L’obiettivo dunque è “eliminare ogni forma di discriminazione” e di “prevenire, perseguire ed eliminare ogni forma (che sia “di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce, coercizione o privazione della libertà”) di violenza contro le donne” (termine con cui si intendono anche le minori di 18 anni), compresa “la violenza domestica che colpisce le donne in modo sproporzionato”, sia in tempi di pace che di guerra, e anche con forme di risarcimento per le vittime.

L’onore non giustifica la violenza
Una volta premessa la necessità di una pari dignità sul piano giuridico (non scontata in tutti gli stati aderenti), specificando che è necessario promuovere cambiamenti affinché “la cultura, gli usi e costumi, la religione, la tradizione o il cosidetto onore non possano essere in alcun modo utilizzati” per giustificare alcun atto di violenza, e coinvolgendo in questo processo “in particolar modo gli uomini e i ragazzi”, sul fronte della prevenzione la Convenzione prevede raccolta dati per studiare le origini dei fenomeni, campagne di sensibilizzazione e di educazione (scuole, centri sportivi e culturali, mass media) contro gli stereotipi e a favore del reciproco rispetto.

Quindi programmi (tutti giusti, necessari ed attesi, ma costosi) dedicati agli autori delle violenze sia per prevenire che per evitare recidive e di protezione e sostegno alle vittime (e ai testimoni), aiutandole a sporgere denuncia, proteggendole, “fornendo consulenze legali, sostegno psicologico, assistenza finanziaria, alloggio, istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di un lavoro”. A tal fine lo Stato deve prevedere, con adeguata distribuzione geografica, servizi specializzati con “figure professionali adeguatamente preparate”, un “numero sufficiente” di case rifugio, linee telefoniche di assistenza 24h, aiuto psicologico specifico “per i bambini testimoni”. In particolare  per quanto riguarda l’assegnazione dei diritti di custodia e di visita dei figli la convenzione impegna a tener conto degli episodi di violenza e che la sicurezza della vittima e dei bambini prevalga sul diritto di visita da parte del maltrattante.

Il rischio di letalità
La convenzione prevede l’invalidità dei matrimoni contratti con la forza e  la penalizzazione (con opportune leggi, non uguali in tutti gli stati), anche nei confronti di mariti e partner (includendo anche il favoreggiamento di terzi), dei reati di violenza psicologica e fisica, stalking, stupro, matrimoni, aborti o sterilizzazione forzati, mutilazioni genitali femminili, molestie sessuali. E’ un’aggravante se il reato è commesso dal coniuge, partner o ex, se è reiterato, se è commesso su un bambino o in presenza di esso o se commesso da un gruppo o con un’arma, se ci sono precedenti. E’ previsto il monitoraggio degli autori di reato e l’eventuale privazione della patria potestà. Le indagini devono prendere avvio senza quell’”indugio ingiustificato” cui spesso abbiamo assistito, e devono essere adottate misure legislative che prevedano la valutazione del “rischio di letalità”, imponendo misure urgenti di allontanamento del maltrattante, anche con ordinanze di ingiunzione o di protezione e con idonee misure di protezione delle vittime (evitando ad es. contatti nei Tribunali, tenendole aggiornate sulle indagini, tutelandole da intimidazioni e ritorsioni), alle quali spetta il gratuito patrocinio; il procedimento, inoltre, può continuare anche se la vittima ritira la denuncia o ritratta.

Le ‘riserve’: se non tutti gli stati garatiscono che…
La Convenzione prevede il sostegno alla vittima nei ricorsi civili al fine di ottenere “adeguati risarcimenti” ma anche che, qualora la “riparazione del danno” non sia “garantita da altre fonti”, sia lo Stato a provvedere. Questa però è una delle prescrizioni su cui sono ammesse riserve da parte dei governi, così come gli stati si potranno astenere su altri punti basilari come il riconoscimento obbligatorio di status di residente (divieto di espulsione) se la vittima lo perde separandosi dal marito, le ordinanze di ingiunzione e protezione, le sanzioni penali (prevedendole non penali) per i reati di violenza psicologica e stalking, la cancellazione della prescrizione se il reato è compiuto su un minore (togliendo così la possibilità di presentare denuncia da parte delle donne una volta divenute maggiorenni): un passo importante, quest’ultimo, non solo in caso di stupri ma anche per mutiliazione genitali, matrimoni e aborti forzati.  

Organizzazione femminili
Tra gli elementi più positivi della Convenzione c’è il pieno riconoscimento e coinvolgimento delle organizzazione non governative e della società civile, tra cui in particolare le organizzazioni femminili, non solo nella denuncia ma soprattutto nell’attività di prevenzione e sensibilizzazione e nella lotta agli stereotipi.