Esiste un sessismo da parrucchiera. A fronte dello stesso trattamento di base, taglio di capelli e piega, senza il ricorso a bigodini, impacchi speciali, casco, permanenti, extensions, colpi di sole o tinte variopinte, la donna paga di più solo per l’appartenenza al ‘genere’. Per rendersene conto basta fare a gara a chi ha i capelli più corti col proprio figlio 15enne (ormai alto quanto la madre). In uno dei tanti saloni nelle corsie dei supermercati, lavaggio testa, taglio con forbici in entrambi i casi (no rasoio), un po’ di gel, un colpo di phon per ultimare l’asciugatura e poi il conto: pur a fronte dello stesso impiego di tempo-servizio la donna paga molto di più (una decina di euro, la differenza). Dal confronto degli scontrini risulta che il taglio uomo ha un costo base maggiore rispetto a quello femminile ma solo alla donna viene conteggiata anche la piega. In pratica si paga un sovrapprezzo per lo stereotipo in base al quale l’uomo, più virile, non perde troppo tempo per farsi bello (messa in piega è sinonimo di effeminato) mentre alla donna piace gongolarsi davanti allo specchio.
Basta dare un’occhiata ai prezzi esposti nei vari negozi e fare due conti, per accertare che il malcostume, benché privo di alcun fondamento pratico o logico, è diffuso. Ed è discriminante.