Lo chiamano corso di autodifesa gratuito per le donne. Il progetto denominato “Difesa in rosa” è promosso in questi giorni in tutta la Lombardia con un ciclo di 8 lezioni nei capoluoghi di provincia ed è nato sull’onda crescente delle aggressioni contro le donne che, talvolta, sfociano in femminicidio. Non è l’unico, è solo il più recente, con la particolarità di essere promosso dalla Regione: in passato, oltre a corsi privati, ci sono stati quelli offerti gratuitamente alle proprie concittadine dagli enti locali, o da qualche scuola.

Il termine ‘autodifesa’, però, è improprio. Certo, il concetto di base è che ci si difende da sé. Ma da quale pericolo si devono difendere le donne? Dai terremoti o altre calamità? Dalle pentole bollenti sui fornelli? Dall’invasione di alieni? No, dagli uomini. E non parlo solo di mariti, fidanzati ed ex, statisticamente autori dei maggiori ‘massacri’ (dalle botte, fino ai gesti estremi) contro le figure femminili con cui avevano un legame (che forse è stato possesso, ma mai amore), ma anche di stupratori, rapinatori, scippatori occasionali. Tutte figure che, nell’immaginario collettivo come nelle statistiche, sono quasi sempre maschili. Dunque stiamo parlando di una guerra tra generi, in cui si tenta di addestrare un esercito di impiegate, commesse, studentesse, pensionate, molte delle quali mamme e nonne, a difendersi dagli uomini che le circondano. Donne in genere accudenti, pronte a stortare un braccio, ad usare tecniche per divincolarsi o colpire in punti chiave il proprio aggressore. Sarebbe dunque più appropriato definire il corso ‘donne contro uomini’ o ‘ginedifesa contro l’androaggressività’ o “women vs men”: il concetto non cambia.

Non sono contraria alla promozione di questi corsi, che anzi consiglio a tutte: ne ho frequentato uno qualche anno fa ed è stato utile imparare che, contro una forza soverchiante, si può tentare, davvero a tutte le età e senza dover essere allenate, qualche manovra non impossibile, innanzitutto sorprendendo l’avversario con una reazione, quindi tentando di neutralizzarlo almeno il tempo necessario per fuggire, acquisendo al contempo un po’ fiducia.

Ricordo però anche che l’istruttore, oltre a metterci in guardia contro l’eccesso di difesa, penalmente perseguibile, si era pure raccomandato, nel caso ci fossimo mai trovate in procinto di essere uccise, di ricordarci di graffiare o strappare dei capelli al nostro aggressore, per ottenere almeno, magra consolazione, una giustizia postuma.

Il problema di fondo comunque è un altro: il Governo ha decretato norme antiviolenza più severe a tutela delle donne (garantendo pure il patrocinio legale gratuito), si promuovono corsi di autodifesa… ma quando si comincerà a curare l’aggressività maschile anziché fornire rimedi per le vittime? Quando si agirà a livello culturale per scrollarci di dosso millenni di patriarcato? Quando l’uomo riporrà la clava?