Persino un esperto di arti marziali, durante un corso di autodifesa, ha voluto rassicurare le donne, età media 40 anni, a cui stava insegnando le mosse base per difendersi dagli uomini: il seno non è un muscolo e non c’è verso di contrastarne il naturale ‘rilassamento’ sotto il peso delle poppate, prima, della forza di gravità, poi, nemmeno praticando tutta la ginnastica del mondo.
Un assunto che mi è tornato in mente girando, durante i saldi, per negozi ‘specializzati’ nella vendita di reggiseni e, in particolare, nella versione estiva (non in quella del genere ‘intimo’, tutta finalizzata a ‘destare i sensi’) dei costumi da bagno.
Sembra incredibile ma i reggiseni da mare (o piscina) servono a tutto fuorché alle due funzioni essenziali: quella chiarissima e intrinseca nel nome, di reggere il seno, e quella di consentire a chi li indossa di nuotare. Non solo, ma negli anni si sta assistendo ad una progressiva ‘omologazione del petto femminile’: colori e orpelli non mancano, com’è giusto che sia, ma i modelli sono ormai tutti conformi. Si passa dal triangolino per le 13enni o chi, comunque, anche più avanti negli anni, non ha molto da sorreggere ai modelli a fascia, impraticabili per chi ha, come minimo, allattato, e indossa almeno la quarta, fino al reggiseno a balconcino, tipo Brigitte Bardot a 20 anni: avete mai provato a farci due bracciate a stile libero? E’ ovvio che non è funzionale: imbarca acqua. Ma il vero nodo del problema è che oggi, pressoché tutti i reggiseni ‘estivi’, qui la vera omologazione, sono imbottiti, anche quelli di taglie superiori: il dubbio dunque è che non ci sia la volontà di ampliare i ‘volumi’ di base, motivo per cui le imbottiture erano nate, ma di uniformare la naturale varietà di seni esistenti, costringendoli dentro a forme precostituite. Dopo push up e ferretti ora sembra obbligatorio passare attraverso coppe preformate, semirigide: difficile trovare altro nei negozi specializzati. Solo nel migliore dei casi, chiedendo, la commessa ti invita ad abbandonare offerte e pezzi variopinti e a guardare in uno scaffale a parte, dove c’è un solo modello ‘normale’, monocolore a prezzo pieno (perché evergreen, sfugge alle logiche della moda).
Diventa ancora più evidente, così, che i costumi da mare per le donne siano più che altro da spiaggia o, meglio ancora, da passerella, concepiti ad uso pressoché esclusivo di chi vuole guardare e deve trovare, grazie alle coppe preformate, ciò che si aspetta.
Tutto all’opposto di ciò che accade per i costumi maschili: dagli slip, con i quali non si poteva mascherare nulla, si è passati negli ultimi anni, dopo essere transitati brevemente per i boxer aderenti, agli ormai diffusissimi pantaloncini: sempre più larghi, più lunghi, più deformi e ineleganti, la maggior parte con fantasie ai fiori hawaiani e poc’altro. Gli uomini ci possono nuotare comodamente così come possono passeggiarci per le località balneari senza dover passare attraverso alcuna cabina per il cambio.
A noi donne non resta che giocarci la carta dei negozi dedicati agli sport: lì i costumi sono tecnici, acquadinamici, con tanto di pezzi interi dotati di reggiseno interno, arrivano a differenziarsi tra mare e piscina persino nella qualità del materiale, rispondono alle due funzioni essenziali: ti puoi muovere liberamente dentro e fuori dall’acqua. Ma viene sacrificata, chissà perché, l’estetica: colori e creatività sono messi al bando.