In discussione nella prima puntata dell'11esima serie non solo la grammatica italiana ma anche il 'miracolo della nascita' contro aborto e peccatrice
La rivoluzione culturale per la parità di genere non può partire da una serie tv come Don Matteo. Una fiction che giunta alla 11esima edizione ancora perpetua stessi personaggi, trame, stereotipi chiudendo sempre con un sermone da parte del prete investigatore. E' già un grande segno di cambiamento dei tempi il fatto che per la prima volta a guidare il comando dei carabinieri, che fa da contraltare alla canonica, sia una donna. Se gli autori si fossero limitati a chiamarla capitano nessuno si sarebbe meravigliato considerato che è cosi nelle caserme d'Italia e che don Matteo rappresenta il contesto più arcaico e patriarcale che si possa portare in TV: uno sceneggiato fondato sull'evangelismo di un prete e i rigidi protocolli militari, seppur banalizzati, dei Carabinieri. Ce li si può quasi immaginare gli autori e sceneggiatori della serie, una decina, mentre si sono trovati a discutere, previo parere dell'Arma con cui collaborano: capitana o capitano? Il problema è che si è scelta la formula peggiore spingendosi alla negazione della costruzione sintattica della grammatica italiana che prevede la coniugazione corretta in capitana così come per operaia, infermiera, ministra, fornaia, avvocata, ingegnera, appuntata. Se un corpo militare, per definizione ultimo avamposto del conservatorismo, specie a fronte di un governo composto sulla carta solo da ministri benché non manchino le rappresentanze femminili, non può certo prendere l'iniziativa di cambiare le regole dal basso, papà Rai, quello che continua a perpetuare il patriarcato attraverso lo schermo, e che dovrebbe avere, se non un modello progressista, almeno una funzione normalizzatrice rispetto all'evoluzione della società, ha sbagliato nel mandare in onda e nel far credere agli italiani che la parola 'capitana' "non esiste". E' giusto dunque chiedere, anzi pretendere un correttivo, anche perché si tratta di tv pubblica, di cui paghiamo il canone. Ma senza farci troppe illusioni.
Nella stessa puntata, infatti, intitolata 'L'errore più bello', viene 'adulterato' il tema dell'aborto: si scopre che un medico, per un fatto al limite del miracolistico, ha “asportato qualcosa” (non meglio identificato) dal corpo di una donna che voleva abortire, ma l'embrione è rimasto intatto, costringendo la malcapitata a portare a termine suo malgrado la gravidanza. Ora è Don Matteo ad occuparsi della neonata data in adozione, ormai adolescente, e siamo certe che prima della fine della serie, con qualche citazione del Vangelo e magari del libro 'Cuore', il prete le farà riabbracciare. Nessun rispetto, dunque, nessuna comprensione per questa 'madre forzata', nella fiction così come avviene spesso nella vita reale a causa dei tanti obiettori che non garantiscono l'applicazione della legge 194. Il padre, naturalmente, non viene messo in discussione: è lei che deve espiare dopo una scappatella. Inevitabilmente, come con ladri e assassini, Don Matteo saprà riportare anche questa donna su quella che la chiesa ritiene essere la giusta strada. La legge 194 sulla Tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza risale al 1978, le Raccomandazioni (governative) per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini (promosse anche dall'Accademia della Crusca) risalgono al 1987 ma, evidentemente, 40 e 30 anni non sono sufficienti in Italia per disarmare due potenti strumenti di controllo del potere patriarcale che incidono sul corpo e sulle menti delle donne e della società intera. Quanto dovremo attendere per non essere colpevolizzate e per poter anche noi salire su una cattedra e, come ricorda la bella vignetta di 'Anarkikka' diffusa sui social, gridare 'Oh capitana, mia capitana'?