Gentile signor De Carlo, il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della
Repubblica ha deciso di rispedire in India La Torre e Girone, i due marò
accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati mentre erano,
con altri commilitoni, a bordo di una nave da carico italiana incaricati di
proteggerne la sicurezza.

Solo dieci miseri giorni è durata la decisione di non
farli tornare in balia del sistema giudiziario indiano dopo che era stato loro
concesso un permesso di un mese per partecipare al voto politico del 24
febbraio. I trenta giorni concessi scadevano irrevocabilmente il 23 marzo e ci
accontentiamo di una scarna dichiarazione indiana in cui ci assicurano che i
loro diritti fondamentali saranno rispettati.

Li condanneranno a 30 anni di
prigione invece che farli schiacciare da un elefante appositamente imbizzarrito?
Li getteranno in pasto ai coccodrilli o li sacrificheranno alla dea Visnù come
nei libri di salgariana memoria?
In Italia il potere si esercita così, in modo
ipocrita, falso e vigliacco chiedendo ai due marinai (hanno promesso che
sosterranno le loro famiglie, ma io non ne crederei una sola parola ) di porgere
il collo al cappio e farselo stringere senza lamentarsi o protestare in nome
dell’onore.

Nessuno ha tentato di chiarire le motivazioni dei reali fatti accaduti, le decisioni del comandante e dell’armatore della nave o le
incongruenze delle indagini, lo strano affondamento del peschereccio, la natura
unilaterale delle prove. Nessuna commissione d’inchiesta pubblica in Italia per
una storia su cui, probabilmente, non sapremo mai la verità e da cui la nostra
fiducia verso chi ci dovrebbe difendere esce ulteriormente distrutta.
La Torre e Girone sono ostaggi da usare come pegno o garanzia, devono tornare in India e
non rassicura affatto che vadano a risiedere presso l’ambasciata italiana dato
che, in barba alle convenzioni internazionali e alle regole della diplomazia,
all’ambasciatore italiano è stato, in quest’ultima settimana, in toni minacciosi,
intimato di non allontanarsi dal paese.

Ma proveranno un po’ di vergogna questi
cinici signori quando la mattina si guardano allo specchio ? Cordiali saluti,
Luisella Rech

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Vergogna? Non basta. I membri del disastroso governo, che un anno e mezzo fa Napolitano impose all’Italia in nome dell’emergenza, dovrebbero battersi il petto pubblicamente. E confessare in tv: sì, siamo degli inetti, vi promettiamo di sparire, non sentirete più parlare di noi.

La vicenda dei due fucilieri di marina è stata gestita in maniera patetica, ridicola, grottesca. Sin dall’inizio. Il ministro degli Esteri Terzi e quello della Difesa Di Paola si sono rivelati inadeguati. Terzi in particolare viene da una carriera diplomatica di prestigio. Ma non sempre un buon diplomatico si rivela anche un buon politico.
Nel caso specifico Terzi non è stato né l’uno né l’altro. Non un buon politico e non un buon diplomatico.

La prima decisione, quella di non fare rientrare in India i due militari italiani in licenza elettorale, è stata uno sbaglio. La seconda decisione, quella di farli rientrare, uno sbaglio ancora più grosso. Una doppia figuraccia, che consolida l’immagine dell’Italia come il Paese inaffidabile per eccellenza.

Primo punto: il governo italiano, per bocca del suo ambasciatore Daniele Mancini, aveva dato la sua parola sul rientro dei due fucilieri. E la parola di un governo è sacra, molto più vincolante di quella di un privato, perché comporta l’affidabilità di un’intera nazione.
Dunque, giusta o no che fosse la pretesa degli indiani, la parola andava mantenuta. Ad ogni costo.

Secondo punto: il no iniziale è stato uno sbaglio anche sotto un profilo puramente diplomatico. La vicenda aveva perso tensione. Era ragionevole prevedere che dopo un’iniziale condanna i due italiani sarebbero stati rilasciati.

Terzo punto: la decisione contraria aggiunge all’inaffidabilità l’accusa di pavidità. Il governo italiano ha temuto le conseguenze economiche del suo immotivato colpo di testa. E così fingendo di accettare l’assicurazione che comunque non sarà presa in considerazione la pena di morte (che peraltro in India non viene quasi mai comminata), ha fatto dietrofront.

Quarto punto: dopo questo capolavoro politico-diplomatico che suscita sorrisi di compatimento nelle cancellerie straniere (i commenti degli addetti ai lavori negli States sono intrisi di scherno), il minimo che dovrebbe fare un ministro è dimettersi.

Mi auguro che Terzi e Di Paola trovino prima o poi, più prima che poi, la sensibilità di prendere in considerazione le dimissioni.
Lo so, non rientra nelle abitudini della politica italian way. E infatti la prima reazione è stata negativa. No, niente dimissioni.