Caro De Carlo,
aveva ragione lei. Purtroppo.
Pochi giorni fa in una risposta a una mia lettera aveva scritto: la nazionale italiana sembra lo specchio del Paese che rappresenta, un Paese stanco, sfiduciato, snervato. Io aggiungerei: un Paese irritante nella supponenza di essere più furbo degli altri.
Proprio così. I giocatori italiani sono apparsi lenti, svogliati, incapaci di andare in porta e ancor più di tirare.
Bene hanno fatto Prandelli e Abete a dimettersi. Ma poveretti non è colpa loro. E’ colpa di una mentalità rinunciataria che ha intossicato la vita di tutti i giorni. Insomma gli italiani, nello sport come nell’economia, come nella società eccetera hanno smesso di misurarsi con gli altri. Attendono i colpi di fortuna o gli errori degli avversari.
Non le pare?
Giorgio Amici

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Sì. Mi pare. All’Italia non ne va bene una. Per limitarci allo sport, non va bene nel calcio, nella Formula Uno, nel motociclismo, nel tennis.
In un Paese che non è mai diventato nazione, la sola occasione per sventolare la bandiera era data dalle partite della nazionale.
Per il resto quella bandiera è meglio tenerla ammainata.
E fra tante macerie non sarebbe il caso di fare qualche riflessione? Sulle responsabilità dei partiti, dei sindacati, della cultura buonista, sulle sistematica mortificazione del merito? E soprattutto sull’incapacità ormai accertata di competere con gli altri? Nello sport come nella vita?