Egregio dott. De Carlo,
mi consenta, da suo affezionato lettore, di non
condividere – forse per la prima volta – il contenuto di un suo articolo. In
effetti, il suo giudizio sulla mancanza di coraggio di papa Francesco nei
confronti del regime castrista, specie nel confronto con papa Wojtyla nel suo
primo viaggio in Polonia, mi sembra francamente sbagliato.
Provo a spiegarmi,
ricordando un altro viaggio di Giovanni Paolo II, quello nel Cile del generale
Pinochet nel 1987.

Nella Polonia del 1979, come lei scrive, bastò – dato anche
il clima generale, determinato dalle ribellioni ripetute e tutte represse nel
sangue dal regime comunista – l’incoraggiamento del Papa a vivere nella piena
dignità perché il popolo polacco si sentisse spinto a riaffermare il proprio
diritto alla libertà. E l’anno dopo nacque Solidarnosc. In quei giorni, non a
caso, qualcuno, nella mia città, profeticamente scrisse sul muro esterno del
Teatro Rossini che “In Polonia è cominciata la fine del comunismo”. Ci vollero
altri nove anni, ma la profezia si avverò.

Anche in Cile, nell’87, fu il popolo
a decidere che Pinochet aveva fatto il suo tempo. Il suo affacciarsi al balcone
del palazzo presidenziale con Giovanni Paolo II, dopo che questi aveva pregato
perché anche in quella terra fosseri rispettati i diritti dell’uomo, non gli
risparmiò la sconfitta politica del referendum istituzionale dell’anno dopo e il
definitivo abbandono del potere già nel ’90.

A Cuba, credo, il problema è che
non esiste ancora un popolo che ami davvero la vera libertà. A Cuba, prima di
papa Francesco, sono andati in visita pastorale anche Giovanni Paolo II nel 1998
e Benedetto XVI nel 2012. L’accoglienza dei Castro è sempre stata ottimale e
anche le messe celebrate dai tre papi hanno avuto luogo nella stessa piazza
dominata dal ritratto di Guevara.

Le parole dei pontefici, ovviamente, non
possono essere che invitanti alla pace e al rispetto dei diritti dell’uomo. Solo
che il popolo che avrebbe potuto mobilitarsi, in questo momento, non è a Cuba ma
in esilio o in galera.
Il popolo residente a Cuba, tranne qualche dissidente,
isolalto o in carcere, è quello diseducato da 55 anni di ateismo marxista,
certamente alfabetizzato e garantito grazie ai buoni sistemi scolastico e
sanitario, ma anche grato ad un regime che l’ha strappato alla miseria e ad una
mancanza certa di prospettive positive per la propria esistenza.

Aggiunga a
questa gratitudine il martellamento ossessivamente nazionalista che fa dei
cubani le vittime di un ingiusto embargo Usa, ed avrà una mandria facilmente
pilotabile e non un popolo conscio dei propri diritti e pronto a scontrarsi con
il potere per ottenerli. La riprova, se vuole, è nella disapprovazione sociale
diffusa dalla quale sono cincondate le “dame in bianco” in quanto familiari, e
loro stesse, “vermi traditori della rivoluzione”.

In questa situazione ritengo
che ben poco si potesse permettere papa Francesco. In fondo, anche un eventuale
rifiuto a visitare Fidel sarebbe stato certamente interpretato come un insulto
alla rivoluzione castrista e quindi a tutti i cubani.
D’altra parte, le visite
papali a Cuba hanno comunque ottenuto due risultati positivi: la scarcerazione
di diverse migliaia di persone e una maggiore libertà di azione e di presenza
della Chiesa a Cuba. E se la Chiesa può ricominciare ad educare il popolo, anche
il desiderio di una vera libertà può allargarsi e – nel tempo – vincere. Poi, ci
pensi, anche i Castro non saranno eterni.

Per favore, continui a
scrivere.
Angelo Camanzi – Lugo (Ra)

*** *** ***

Caro Camanzi,
grazie della sua considerazione e dalla pazienza con la quale ha atteso questa mia risposta.
Mi limiterò a Cuba per ragioni di spazio.
Trovo ingiustificato il suo accostamento fra il pellegrinaggio di Papa Bergoglio e quelli dei Papi che l’hanno preceduto.
Benedetto XVI e soprattutto Giovanni Paolo II, colui che ha fatto cadere il comunismo nell’est europeo, avevano giudicato opportuno mettersi in contatto con i pochi dissidenti sfuggiti alla prigione.

Il Papa argentino ha taciuto e anzi, quasi a tranquillizzare i padroni di casa, ha assicurato tramite il suo portavoce che non ci sarebbe stato alcun contatto. E non perché gli oppositori fossero tutti in galera. Il Papa non intendeva guastare l’atmosfera della visita.
Era stato lui a favorire l’intesa fra Obama e Castro per il ristabilimnento delle relazioni diplomatiche ed è stato sempre lui nella successiva visita a Washington a perorare la fine dell’embargo. Embargo – mi lasci dire – del tutto giustificato. Fu deciso dal Congresso dopo che Fidel aveva espropriato senza alcun indennizzo le compagnie americane che operavano sul territorio.

Ora è vero che Ratzinger e Wojtyla hanno officiato nella stessa piazza all’Avana sotto il ritratto di Che Guevara, brutale personaggio, così brutale e sanguinario da spingere persino Fidel Castro ad allontanarlo e a spedirlo in Sudamerica con la scusa di esportare la revolucion. Ma è anche vero che nei loro discorsi pubblici avevano usato toni fermi. E avevano denunciato seppur con linguaggio curiale la violazione sistematica dei diritti civili.
I dissidenti politici erano e sono tuttora in galera. Centinaia, non qualche dozzina.
E quanto all’amnistia cui lei accenna, essa ha riguardato reati comuni. Anzi per aumentarne la consistenza la polizia aveva fatto abbondanti retate strumentali nei mesi e nelle settimane precedenti l’arrivo del Papa, come ci hanno fatto sapere i giornali americani.

Lei forse mi chiederà: cosa avrebbe dovuto dire Bergoglio a Raoul Castro? Due cose. La prima: che l’isola è un relitto anacronistico di un sistema e di un’ideologia finiti nella spazzatura della storia. Il socialismo non funziona. Né nella versione sovietica, né tanto meno nella versione caraibica.
Voglio ricordarle che ancora oggi lo stipendio medio di un cubano si aggira sui 25 dollari mensili. E che se prima dei Castro la miseria dei più si contrapponeva alla ricchezza dei pochissimi, con i Castro essa è diventata generale. Tutti sono poveri. Il che ha certo portatto all’uguaglianza sociale ma verso il basso e non verso l’alto.
La seconda cosa che Bergoglio avrebbe dire riguarda il primato dei nostri valori. Intendo dire i valori delle nostre democrazie. In primo luogo le libertà civili e dunque anche la libertà di impresa. E al riguardo avrebbe dovuto riconoscere i meriti dell’economia di mercato: grazie al libero mercato negli ultimi vent’anni il numero dei poverissimi (1,25 dollari al giorno) è sceso da 800 a 300 milioni.

Era logico aspettarsi questi accenni da un Papa di estrazione latino-americana? Da un Papa formatosi nella cultura peronista di un socialismo tanto demagogico quanto irresponsabile e fallimentare? Da un Papa che non perde occasione per prendersela con il ‘’capitalismo selvaggio’’? Da un Papa prossimo a beatificare Helder Camara, il teorico della teologia della liberazione?
Direi proprio di no.

Probabilmente i fratelli Castro lo considerano uno dei loro, dopo averlo visto accettare e portarsi in Vaticano il crocefisso con la falce e martello, regalo del boliviano Morales.
Ma per quella falce e martello hanno patito e sono stati perseguitati milioni di cattolici nei Paesi dell’est. Fra di essi anche il suo predecessore polacco che forse si sarà rivoltato nella tomba.

La ringrazio per il suo incoraggiamento. Continuerò sulla linea del politically incorrect, come ritengo sia mio dovere.