Quest’estate mi son trovato in una città vera, Londra, dove i negozi di dischi esistono ancora. I negozietti, come quelli di ‘Alta fedeltà’. Là, nel cuore di Soho, il vinile tira ancora. Pensate che in una bottega (sì, voglio chiamarla così, non è un dispregiativo) espongono la copertina del disco degli Oasis, (‘What’s the story) Morning glory)’ dimostrando che la foto della copertina è stata scattata proprio davanti a quel negozio. Certo, anche in Inghilterra infuria il download: la Tower records, catena di negozi, è fallita da tempo, ma gli artigiani dei vinili e dei cd resistono. E i clienti ci sono. Eccoci al punto, un cliente italiano (il vostro ammuffito blogger) ha trovato negli scaffali un cd della sua infanzia, ‘Guts for love’ di Garland Jeffreys. Anno di grazia 1982 (campioni del mondo e i miei 18 anni, che potevo chiedere di più) e un pacchetto di sessionmen non male (Larry Fast e Tony Levin, giusto due nomi).

 

Ma giustamente immagino mi chiederete, chi era mai questo Garland Jeffreys. Un figlio dell’America meticcia, con sangue portoricano: classe 1943. Tanta grinta, un timbro caldo e una musa che gli ispirò quel disco stupendo. Un po’ rock (‘Real man’ e ‘Dance Up’) e un po’ melodico (‘Surrender’, ‘Guts for love’), ma anche divertente, come ‘What does it take (to win your love’), con un video eloquente, dov il nostro eroe tenta di far innamorare una fanciulla inizialmente sdegnata di tanto affetto. Ma il capolavoro è ‘El Salvador’: una chitarra da fandango e lo stick bass di Tony Levin introducono una ballata indimenticabile. Non tutto il disco è così bello, ma queste canzoni sono stupende. E ringrazio Londra per avermi dimostrato ancora una volta che il cuore della musica batte in quei negozietti che il finto progresso vuol cancellare.