In questi giorni ormai invernali, dove la notte è più buia degli incubi, la musica è la luce che ti tiene in vita. La lanterna che illumina la strada ai viandanti spaesati dalla velocità (e assurdità) con cui sta mutando il mondo. Sono sempre stato dell’idea  che per ogni stagione esista un certo tipo di musica da ascoltare, chiamatela empatia, originalità o anche stramberia, il vostro ammuffito blogger è fatto così da sempre. E quando l’inverno abbraccia le serate, mentre là fuori dalla finestra vento, freddo e pioggia fanno il loro lavoro, è bello stare in casa, accendere un lume, leggere un libro e ascoltare musica. E d’inverno in casa mia, e anche in auto nel mio mangianastri (…) Jan Garbarerk non manca mai. Il suo sax snello e lieve come un gabbiano mi apre la mente. Il jazz nordico ha una luce abbagliante, lui lo spruzza con un po’ di new age. Pianoforte, a volte un violino, poca voce. Parla la musica, ed è sempre una musica bellissima, illumina il crepuscolo, è la compagna per la notte. Potrei parlare per ore di Garbarek. Lo vidi una volta, tanti anni fa, per sbaglio a Ravenna. Era un festival jazz, manco sapevo chi era. Poi col sax accese la cantilena di ‘Brother wind march’ , aprii la bocca per lo stupore. Ma chi è questo qua, pensai. E come ho fatto a non scoprirlo prima. Ha inciso un’infinità di dischi, dal jazz più puro (accidenti com’è bello il suo blitz in ‘ Belonging’ con Keith Jarrett) al jazz nordico. Personalmente ho un debole per album come ‘Twelve moons’, ‘Rites’, ‘In praise of dreams’. Mi convincono meno i suoi cd con l’Hilliard ensemble mentre quando ascolto ‘The creek’ da Visible world’ mi sembra di volare. Non è commerciale Jan. Fa la sua musica. A volte la contamina, però resta una musica che ti entra nel cuore e lo scalda mentre là fuori è freddo.