Stop. Fermatevi. E ascoltate. Poi guardate quell’uomo: ha 63 anni, nella soffitta della casa di Bath conserva (forse) una maschera da volpe rosicchiata dai roditori britannici, un vestito rosso slabbrato, un giubbotto di pelle nera da teppista newyorkese e i trucchi per colorarsi il volto da scimmia. C’è un libro di mille pagine, in quella casa: l’ha scritto tutto lui, l’arcangelo Gabriel. E siccome non ha troppa voglia di scrivere e narrare storie nuove, sempre più spesso ultimamente apre una pagina a caso di quell’antico volume e con l’aiuto dei vecchi amici di sempre racconta un pezzo del suo passato a una platea che non aspetta altro.  Semplicemente Peter Gabriel. Il suo ultimo disco di canzoni risale a una vita fa , 2002 ‘Up’, poco male, i suoi fan ormai si sono come rassegnati, anche perché l’arcangelo placa la loro sete di nostalgia con progetti e tour retrò. E così lunedì sera il vostro ammuffito blogger ha sconfitto la pigrizia di chi ha visto troppi concerti nella vita, pensando di esser sazio, e con due compari di variabile impatto anagrafico si è spinto fino a Milano. Una missione, sì 33 anni dopo la prima, in quel lontanissimo settembre del 1980, alle cascine di Firenze, brufoloso fanciullo 16 enne accompagnato da un papà che di lì in poi avrebbe cantato in casa ‘Biko’ per anni e anni.

 

Vi dirò, di fronte a queste operazioni nostalgiche come il tour dai 25 anni di ‘So’, qualche timore c’è sempre. E’ come uscire di nuovo una sera con una vecchia fidanzata con la quale sei stato felice,  una mossa sbagliata e si rovina tutto: ricordi e immagini. Beh, cari miei: niente di tutto questo. E’ stato un concerto fragoroso, nostalgico il giusto, anche perché Gabriel le  canzoni mica le ricanta e basta. Lui ne scarnifica l’anima originaria, resta l’osso e lì attorno mette nuova polpa, così il gusto è diverso e l’impatto dal vivo assicura nuova linfa e un appeal avvincente. Quindi nessun effetto patetico, anche perché la band, la stessa di quel tour che nel 1987 fece tappa anche in Italia, non mostra segni di cedimento: David Sancious alle tastiere, David Rhodes alla chitarra, Manu Katche alla batteria e il mitico Tony Levin allo stick bass e diavolerie varie. Grazie al cielo fra le coriste stavolta non c’è la figlia di Gabriel, ma un paio di ragazze svedesi davvero sorprendenti: Jennie Abrahamson e Linnea Olsson. Le due hanno un compito segreto, ma non poi tanto: coprire l’arcangelo nelle note alte, perché dopo un po’, spiace constatarlo e scriverlo,  passati i minuti la voce di Gabriel scricchiola un po’. Ma non fanno solo tappezzeria, come capitava a Melanie Gabriel, cantano benissimo e regalano un tocco di gioventù a una band di valorosi vecchi vegliardi. Si comincia piano: un inedito, per solo piano e stick bass, poi ‘Come talk to me’ da ‘Us’, in versione soft. La veste acustica accarezza anche il primo gioiello del passato, ‘Shock the monkey (non ‘Monkey’, come l’han citata ad una radio di Stato, mi riferiscono fonti dei miei fedelissimi): mai avrei pensato di sentire una versone di questo pezzo con David Rhodes alla chitarra classica. E poi un capolavoro sepolto da chili di polvere: ‘Family snapshot’ del terzo disco, anno di grazia del 1980, ispirato all’attentatore del governatore dell’Alabama, George Wallace: l’architettura sonora è quella di sempre, il piano all’inizio, poi lo stick bass, il rullante che introduce la cavalcata del pezzo. Un pezzo così bello di cui ho già nostalgia, già come vorrei riascoltarlo. Chissà quanti fra le migliaia dei fan del Forum conosce quel pezzo, ma poco importa, la bellezza sovrasta ogni lacuna e conquista il pubblico. Anche perché dopo, c’è quello che non ti aspetti: Gabriel abbandona ogni pudore acustico e scatena la selvaggia potenza della band. ‘Diggin in the dirt’ è un brano post-punk, di una violenza assoluta, Rhodes alla chitarra è feroce come mai si è visto. E la compattezza del sound, l’impasto scabro, randagio e potentissimo chitarra-stick bass-batteria è stupefacente, si ripeterà più volte nel corso della serata, tanto da far pensare: è questa la strada del nuovo Gabriel? Chissà. Anche ‘Secret world’ , da ‘Us’, è forgiata nel fuoco, un pezzo straordinario, con un crescendo di bellezza che scuote l’anima. E’ forse il momento migliore del concerto. Dal quarto capitolo sbuca, incredibilmente, ‘The family and the fishing net’, astrusità meravigliosa che pare pescata da un album dei King Crimson, una canzone dell’anima contorta ma coinvolgente e affascinante, chissà da quanti anni non la cantava dal vivo. E subito dopo tocca a ‘No self control’, dal terzo album: beh, è un pezzo fantastico, 33 anni dopo regge ancora alla grande. Katche è fantastico,  l’efficacia è portentosa nel crescendo finale. E’ tempo di chiudere la porta di quella soffitta, ma c’è una storia che non si può proprio lasciar fuori, è ‘Solsbury hill’, una della canzoni più amate dai fan, anche se la versione qui cigola un po’, è un po’ troppo rapida, sono sincero, l’impatto non è più quello di una volta per questa canzone-simbolo, anche se quella frase finale, ‘potete tenervi le mie cose, sono venuti a portarvi a casa’, ti fulmina sempre il cuore.

 

C’è anche il tempo per una canzone nuova, ‘Why don’t you  show yourself’, una ballad tutta piano e cantata spesso in falsetto, per poi piazzare l’assalto all’intera tracklist di ‘So’, che non è mai stato il mio album preferito, ma ascoltandolo tutto d’un botto al Forum, diavolo, ci si rende conto di quante hit contenesse. La gente però è qui  soprattutto per ‘Sledgehammer’: incredibile, intonano il ritornello ancor prima che inizi il brano. Quel pezzo sdoganò l’arcangelo, da cantante di culto a cantante di hit parade, e questo nel bene e nel male. E dal vivo resta una canzoncina intrigante, no, non puoi far a meno di ballarla. Il resto del disco è buonissimo, tranne ‘We do what we’re told’ e ‘That voice again’: le ballate conservano la nitida purezza gabriellana di sempre, ‘Mercy street’ e ‘Don’t give up’, pensate, questa la scrisse un quarto di secolo fa, una canzone sulla disoccupazione: ‘Non mollare’, dice, ma quanto è attuale ancora oggi?  E ci si commuove sempre immergendosi nel rito di ‘In your eyes’, col balletto salvifico finale assieme ai due fedeli scudieri di sempre, sugli spalti del Forum appare uno striscione, ‘In your eyes I’m complete’, eh, c’è da commuoversi sì . ‘So’ è finito, quante canzoni ancora mancherebbero all’appello: ‘On the air’, che non suona da secoli, ‘San Jacinto’, ‘Intruder’, ‘Here comes the flood’… Per il bis Gabriel mostra i suoi due volti: la potenza quasi grunge di ‘The tower that ate the people’, e l’inno finale che tutti aspettano: ‘Biko’. Trentatré anni dopo quel ritornello ti lacera ancora  il cuore, c’è poi quel pugno, alzato dritto verso il cielo, spacca il soffitto del Forum, arriva sopra le nubi gonfie di pioggia in un tripudio di lacrime e commozione. E quella frase finale, ‘E gli occhi del mondo restano lì ad osservare’, sospesa in aria, scritta da chi 33 anni fa sapeva già tutto. Grandissimo Gabriel, un arcangelo sopra le nostre teste.