No, non chiedetemi qual è il mio album preferito dei Genesis. E’ come chiedere a una mamma quale dei figli ama di più. Io in tanti anni di malattia genesiana, non sono mai riuscito a scegliere uno dei frugoletti dell’era di Gabriel (certo, considero principalmente i primi 4 anni, l’epoca successiva la trovo più leggerina). Di certo so qual è il disco della maturità dei Genesis, ‘Selling England by the pound’, e ne parlo perché fu pubblicato esattamente 40 anni fa, nell’ottobre del 1973, album capace di sdoganare completamente un gruppo allora amato a macchia di leopardo.

E’ un bel disco, un bellissimo disco, non perfetto, ma accidenti, in quell’autunno del 1973 colpì tutti, a cominciare da Ciao 2001 che dedicò ai Genesis fior di copertine. C’è una buona produzione e gli equilibri fra i 5 sono al top, ne scaturisce un sound levigato, perfetto, progressive e molto british. L’intro a cappella di Gabriel in ‘Dancing with the moonlit night’ è un tocco al cuore, ma tutto quel pezzo è splendido, con variazioni di tono e architetture sonore elaboratissime. In quella prima facciata (sì, ne parliamo come fosse un long playing) spicca poi ‘Firth of fith’ , scritta fondamentalmente da Tony Banks ma in realtà amatissima da Steve Hackett, e ad ascoltarla si capisce il perché: tutti quei giochini di chitarra di sottofondo sono opera di Hackett, che una volta in un’intervista definì ‘Selling England by the pound’ il suo preferito fra gli album dei Genesis. ‘Firth of fith’ è una mini-suite, una lunga, epica canzone, con quel passaggio di flauto fra un boccone di musica e l’altro, di una delicatezza incredibile, mentre gli assoli di chitarra sono di una grazia incredibile. L’unico difetto di questo brano è postumo: dal vivo è stato proposto senza il classicheggiante intro di Banks al pianoforte. Un intro stupendo, senza di quello la canzone perde moltissimo. Perché non riproporlo? Probabilmente dal vivo era difficile da suonare, ma la pecca resta, come se fosse una canzone da laboratorio. Bellissima era la strumentale ‘After the ordeal’, ‘poi ‘The cinema show’, con un Banks scatenato al synth. Invece non ho mai amato ‘I know what I like (in your wardrobe)’. Una canzoncina che con i Genesis d’allora centrava poco, lo so, fu un hit, un 45 giri, ma la trovo banale, anche se certamente superiore a ‘More fool me’, siparietto di Phil Collins alla voce, tre minuti melensi, promessa di quel che sarebbe avvenuto fra i Genesis di lì a qualche anno.  E non ho mai amato nemmeno ‘The battle of Epping Forest’, Gabriel fu ispirato a comporne il testo da alcune cronache giornalistiche di allora, su una sfida fra gang rivali, un brano lungo una dozzina di minuti, ma noiosi. Un brano che era l’emblema di quel che stavano diventando i Genesis, una band troppo elaborata, dal sound a volte esageratamente attorcigliato. Si stava cambiando molto.

Per quanto riguarda la copertina del disco, fu silurato Paul Whitetehead (la sua  cover di ‘Foxtrot’ non era era stata gradita) , venne scelta una pittrice anziana, la tipica miss Marple inglese, Betty Swanwick. Narra la leggenda che la copertina di ‘Selling England by the pound’ fu discussa nel prato scosceso della casetta della vecchina, mentre un pappagallo beccava il colletto della camiciuola di Gabriel. Alla fine Betty accettò, rielaborò un suo quadro, aggiungendoci la falciatrice, citata in ‘I know what I like’.  Il disco permette finalmente ai Genesis di sfondare in Inghilterra, arrivando al terzo posto, in America invece non lo digeriscono, è solo 70esimo. Ma ancora oggi, 40 anni dopo, resta un gioiello.