E’ morto lo stesso giorno in cui se ne andò in un altro grande del rock, Joe Strummer. Il destino e una vita logorata da mille eccessi hanno accompagnato Joe Cocker all’ultima curva della sua tormentata esistenza di antico leone del blue bianco. Aveva 70 anni e non si sentiva parlare di lui da anni, probabilmente si godeva nella natìa Sheffield i diritti d’autore di una carriera da montagne russe.

 

Non è stato un autore, il vecchio Joe, ma un interprete, un grande interprete. Quella voce roca aveva un fascino pazzesco specie se accompagnata in scena da quelle movenze da grizzly che convinsero John Belushi a imitare Cocker a ‘Saturday night live’. La sua storia è nota, bastò una cover della beatlesiana ‘With a little help of my friends’ a Woodstock per crearne il mito, una versione lunga con quella voce sofferente e passionale. Ce n’era abbastanza per un carrierone facile e sicuro. Solo che Joe era un’anima inquieta, alcol e droga camminavano al suo fianco. Spesso sul palco non stava in piedi e una volta fu arrestato in Australia per possesso di marijuana. Lo salvò il cinema, una cover di ‘You can leave your hat on’ usata nel film ‘9 settimane e mezzo’ per lo spogliarello di Kim Basinger e  ‘Up where we belong’, tema conclusivo di ‘Ufficiale gentiluomo’ di Richard Gere. Una volta vidi un suo concerto nel 1992, era furente per il poco pubblico, e alla fine salutò il pubblico con l’invito a ‘peace & love’, inguaribile romantico degli anni 70. Ascoltate i suoi pezzi, sentite che passione in quella voce, era di chi viveva la musica, e per essa è morto.