A volte capita. Ti senti un genio, o meglio, un incompreso. E questo accade per anni. Poi ti metti a cantare canzonette e hai successo. Un successo così grande che non riesci a controllarlo e corri il rischio di perdere contatto da dove sei venuto. E’ quello che accadde molti anni a fa a Billy Joel, uno di cui non si sente più parlare da secoli ingrigito da una crisi creativa pazzesca e divorzi in serie Liz Taylor. Eppure oggi io vi voglio  parlare di un suo album molto particolare, si chiama ‘Songs in the attic’, anno di grazia 1981. Allora il punto è che in precedenza il ragazzotto di Brooklyn aveva inciso una serie di album un po’ grezzi ma pieni di belle canzoni: ‘Cold spring harbor’ (copertina terrificante), ‘Piano man’ (altra copertina orrenda), ‘Streetlife serenade’, ‘Turnstiles’, Tutti album legati da un filo rosso: non avevano avuto un gran successo, tranne qualche timida hit. E lui si era avvilito, logico no? Eppure le buone canzoni abbondavano, ‘I’ve loved these days’, ‘Captain Jack’, ‘Say goodbye to Hollywood’, la mielosa ‘You’re my home’ , ‘New York state of mind’.

 

Allora cambiò tutto. Si affidò a un produttore star, Phil Ramone, e incise ‘The stranger’. Era il 1977. Un lavoro levigato, anche troppo, con atmosfere a volte disco (l’epoca era quella dei Bee Gees…). E il botto arrivò enorme. Grazie anche, anzi soprattutto, alla ruffiana ‘Just the way you are’. In un attimo cambiò tutto. Anche i dischi successivi vendettero bene. E fu così che nel 1981 Billy Joel volle andare controcorrente, con ‘Songs in the attic’. Letteralmente: le canzoni in soffitta, con copertina a tema. In quel disco, un azzardo commerciale,  il ragazzo volle recuperare dal vivo tutti i pezzi della prima parte della carriera, quando nessuno se li filava. E l’album ebbe successo.