Jim Kerr ha smesso (per fortuna) di bistrarsi gli occhi, fianchi e volto  sono più rotondi, ma cosa volete, il tempo scorre impietoso sui contorni degli antichi eroi degli anni Ottanta. Ricorderete i Simple Minds: dovevano conquistare il mondo assieme agli U2, questi ultimi ci riuscirono, Kerr e soci si fermarono a metà opera. Capita, l’ispirazione non è eterna, e di errori se ne possono commettere e le menti semplici non ne furono certo esenti. Ora, dopo anni di anonimato, per cercare di togliersi un po’ di polvere dalle spalle, è uscito un disco acustico, sì, un po’ come la moda unplugged  di Mtv degli anni Ottanta. Un album che inevitabilmente nulla aggiunge ma destinato a  piacere ai nostalgici, come il vostro povero blogger. Scorre tutta la vita dei Simple minds in quella dozzina di canzoni: c’è l’antica ‘The american’, da ‘Sister feelings call’del 1981, semplicemente deliziosa.Il capolavoro del gruppo, ‘New Gold dream’, viene saccheggiato: dalla title track, a ‘Someone somewhere in the summertime’  a ‘Glittering prize’. Fa impressione  sentire in chiave acustica ‘Waterfront’ per chi ricorda la chiassosissima versione da ‘Sparkle in the rain’, ma il pathos è identico anche perché la voce di Jim Kerr è ancora struggente come ai bei tempi. E poi c’è il santino del gruppo, la canzone amata-odiata, ‘Don’t you forget about me’: i fan della prima ora ne detestano la banale commercialità, ma ai concerti è un tormentone con il salvifico ‘la la la’ finale cantato in coro a rischio di crollo del pavimento. Ed è curioso notare come il più grande successo del gruppo non è scritto da loro ma dal produttore del film ‘Breakfast club,  Keith Forsey e dal chitarrista di Nina Hagen, Steve Schiff.   E qui torniamo al punto di partenza: perché i Simple Minds si fermarono a metà dell’opera?   Allora i primi dischi erano assai sperimentali ma affascinanti: c’era il gelo della techno-dance  in ‘Empire and dance’, i germi della new wave in  ‘Sons and fascination’ and ‘Sister feelings call’, l’apoteosi in ‘New gold dream’. Poi qualcosa si ruppe: in ‘Sparkle and the rain’ fu scelto un produttore esageratamente rock, Steve Lillywhite. Il sound mutò troppo,l’originalità scivolò via: prendete ‘Once upon the time’ del 1985, grazie all’astuta ‘Alive and kicking’ vendette benissimno, ma era chiaro che la genuinità degli albori era svanita. Il successo rimase saldo ancora per un po’, poi se ne andarono due membri originari, il bassista derek Forbes e  soprattutto il tastierista Michael McNeil, vero alchimista della band.  Oggi le menti semplici sono fondamentalmente due vecchi amici, Kerr e il chitarrista Charlie Burchill. Kerr è passato attraverso due matrimoni pop: prima con la fascinosa Chrissie Hynde, leader dei Pretenders, poi con la deliziosa Patsy Kensit, stellina degli Eight Wonder, ha lasciato spessol e brume della natìa Scozia per rifugiarsi a Taormina dove ha anche aperto un albergo. La vena creativa si è esaurita da tempo,ma ‘Acoustic’ resta un album piacevole e l’imminente tour italiano un’occasione per tornare giovani.