Giuseppe Uva, una morte sospetta e il difficile rapporto con le fonti. Ne stiamo ragionando insieme, come potete leggere qui.

Ecco che cosa ne pensano Gabriele Moroni, che per il Giorno ha seguito e segue  i maggiori fatti di cronaca, Roberto Baldini, responsabile della redazione internet del nostro giornale e Corrado Cattaneo, redattore a Varese dopo anni di lavoro nel Comasco, anche come corrispondente.

 

Gabriele Moroni

Hai fotografato come solo può fare chi ha vissuto a lungo un certo tipo di vita, la condizione del cronista, in particolare quello che opera in provincia .

Inizi difficili. Studio reciproco con l’interlocutore, magistrato, poliziotto, carabiniere che sia. Poi la confidenza. Il passaggio al “tu”. I tempi di attesa in corridoio si riducono, si contraggono. Porte aperte. Insieme per molte ore al giorno. A volte è la “fonte” a chiamarti per comunicare notizia. Il rapporto si fa solidale, spesso amicale. La frequentazione diventa privata, anche con annesse famiglie. Si parla, a volte ci si confida e non sempre sono confidenze amene. Ecco l’insidia, se d’insidia si può parlare: quella che il rapporto personale possa, se non sovrapporsi a quello professionale, quantomeno influenzarlo.
E no, il vero cronista non ci sta. E prima di pubblicare la notizia dell’arresto del ladro o del rapinatore esige di essere informato del furto o della rapina. Situazioni che credo di avere vissuto decine di volte.
L’interrogativo che poni va al cuore del rapporto fra il cronista e le sue fonti: “se una mattina il comandante dei carabinieri va dal giornalista e gli dice che all’ospedale, dopo una notte in caserma, è morto un drogato ubriacone, voi come pensate che reagirà il cronista, quel cronista che tanto della sua vita ha condiviso con quell’ufficiale?”. Già, come reagirà? Sarebbe facile rispondere che non si accontenterà della stringata informazione dell’amico capitano, che si precipiterà in ospedale a interrogare i medici, che busssera alla porta della medicina legale, che corrrerà in Procura dove è stata certamente aperto un fascicolo. Troppo facile rispondere così. E infatti, caro Piero, non rispondo. Perché non ho risposte.
Ma il caso Uva, come tu giustamente sottolinei, è troppo importante. Per prima cosa c’è la storia di una tragedia da riscrivere o meglio da scrivere ex novo. C’è una vicenda da chiarire in tutti i suoi aspetti, anche i più sordidi, oscuri, drammatici. C’è una famiglia nel dolore che esige con pieno diritto la  verità, l’unica, per amara che sia. E ci sono, non dimentichiamolo, migliaia di uomini e di donne che onorano ogni giorno la loro divisa e che, quale che sia l’esito giudiziario della vicenda Uva, meritano solo rispetto e stima.
Gabriele Moroni

Roberto Baldini

Tema difficile. Difficilissimo. Ma vero: il cuore del problema. Il cronista di nera ideale dovrebbe essere di passaggio, non dovrebbe legare troppo con le fonti, si sa. Ma siccome siamo uomini, e donne, si lega. Qualcuno le fonti se l’è perfino sposate, segno che certi rapporti possono benissimo andare al di là degli utilitarismi professionali. Non ci sono leggi definite, in questo rapporto, secondo me. C’è solo la legge del rispetto reciproco e del buon senso. Io rispetto il tuo lavoro di poliziotto, tu rispetti il mio lavoro di raccontarlo. Non chiedermi di enfatizzare operazioni di routine, perche’ mi metti in imbarazzo. Non chiedermi di manipolare una notizia se hai commesso degli errori, perche’ mi rendi disonesto con i miei lettori. Ma chiedimi pure di non darla subito, una notizia, se sei convinto che questo ti faccia arrestare un colpevole: prima di essere un giornalista sono un cittadino e devo avere delle priorità. Il tema è difficile perche’ va visto da entrambi i lati: il modo del giornalista di rapportarsi con le fonti, ma anche il modo delle fonti di rapportarsi con il giornalista. E questo a volte in Italia è un problema. Se avete in mente “Prima Pagina” di Billy Wilder o “Cronisti d’assalto” di Ron Howard, bè, forse venite colpiti dal rapporto molto paritario che esiste tra poliziotti e cronisti, ognuno consapevole di svolgere un ruolo fondamentale per il bene collettivo. Ecco, a noi spesso manca questa consapevolezza, si tende paurosamente a un rapporto con le fonti che pende pericolosamente a favore della fonte. E la fonte se ne approfitta, spesso non rispettando il ruolo pubblico del giornalista, a volte trattandolo come un invadente ficcanaso. E questo in una democrazia è inaccettabile. Retaggi del passato, certo, in parte corretti o via di correzione. Ricorderò per sempre la mia ingiusta quanto per fortuna brevissima detenzione nella gabbia dei detenuti al tribunale di Bologna, molti anni fa. Ero stato querelato per diffamazione, e allora non valeva la parità tra accusa e difesa: io ero imputato e come tale, mentre il querelante se ne stava dignitosamente seduto accanto al suo avvocato, io fui cacciato sul banco degli imputati. Che per l’appunto era una gabbia dove in quei giorni stavano processando alcuni terroristi. Protestai invano con il giudice, specialmente quando mi assolse per non aver commesso il fatto: nessuna diffamazione, avevo scritto la verità senza oltrepassare il diritto di cronaca. Ma nella gabbia dei terroristi c’ero finito lo stesso. Ora le cose sono diverse, ma da poco. Così come da poco cominciano ad essere diversi anche i rapporti con le fonti. Ognuno deve fare i conti con la propria coscienza, la coscienza personale e quella professionale. E prendere le sue decisioni. Con la consapevolezza del ruolo che svolge e l’orgoglio di essere al servizio della verità.

Roberto Baldini

 

Corrado Cattaneo

Il giornalismo, vero, lo si fa per strada e, come diceva Rino Formica per la politica, è fatto di sangue e m… . Per fare questo mestiere bisogna essere pronti a versare l’uno e a schiacciare l’altra, finendo inevitabilmente non solo per trascorrere le nottate in caserma, ma anche quelle passate nel letto di casa a rigirarsi sul materasso col dubbio di aver fatto davvero la cosa giusta. Perché come un medico, il giornalista ha a che fare con uomini di carne ed ossa. Altrimenti sono solo chiacchiere. Non sempre serve essere eroi, spesso basta tenere la schiena dritta quel tanto che basta a perdere un po’ di comodità e forse qualche opportunità. Di sicuro non possiamo lasciare che siano gli altri a rendere onore a un mestiere che mai come oggi, e spesso non a torto, è in debito di stima.

Corrado Cattaneo