L’hanno approvata. Ma la dichiarazione “il futuro che vogliamo” che dovrebbe costituire il punto più alto del summit Rio +20 è un pallido figlio della conferenza che venti anni fa aprì una stagione di convenzioni ambientali. Cioè di strumenti reali che regolavano l’uso e la tutela delle risorse con il fine di ridure gli impatti ambientali e promuovere uno sviluppo sostenibile.

Nel 2012 non è più il tempo dei principi e delle parole, ma il tempo delle azioni. E il testo sul quale la presidenza brasiliana _ con la decisiva mediazione italiana che ha consentito di avere l’ok dell’Europa _ è un testo che purtroppo non va oltre i condivisibili principi e non fissa regole, indica processi virtusi, mobilita finanziamenti. Non fa davvero male a nessuno e quindi è stato accettato da tutti.

Esempio chiaro è quello dela Green Economy. Che per la prima volta entra in un testo negoziale ma senza che si vada oltre le dichiarazioni di principio. “Ci sono diversi approcci allo sviluppo sostenibile _ si afferma infatti _ e la green economy è uno strumento importante per ottenere lo sviluppo sostenibile. Potrà dare opzioni ai decisori politici, ma non dovrà essere racchiusa in un set rigido di regole”. “Riconosciamo _ prosegue il testo _ che la green economy amenterà la nostra ablità di gestire in maniera sostenible le risorse naturali, con minori impatti ambientali, aumento dell’efficienza e riduzione dei rifiuti e incoraggiamo tutti i paesi a considerarne l’implementazione”. In altre parole, se volete farlo, la green economy è una buona cosa. Ma ognuno dovrà trovarne l’applicazione come desidera, senza nuove regole che non siano le convenzioni internazionali esistenti. Un pò poco per considerala una testata d’angolo.

Anche sugli altri capitolo c’è molto meno di quanto si sperava. E’ così sugli oceani _ dove la tutela della biodiversità conro l’overfishimg è sfumata e la possibilità di creare aree protette in alto mare è stata cassata _ come sulla delicatissima questione dei sussidi ai combistibili fossili. Canmcellata anche l’opzione di una trasformazone dell’Unep da programa ad agenzia delle Nazioni Unite. Il “no” americano era solido come un muro.

L’accordo, visti i veti incorociati, era probabilmente il massimo che si potesse ipotizzare, ma il suo aiuto ad un futuro piàù sostenobile sarà al massimo lieve. Adesso la palla passa ai capi di stato e di governo che dovranno ratificare l’intesa approvata dalle delegazioni e potrebbero decidere di integrarla con una “dichiarazione politica” di natura ancora nebulosa. Alla vigilia della apertura della conferenza vera e propria il bicchiere è quindi mezzo vuoto.

Come si temeva, la montagna sta patorendo un topolino. E neppure tanto grosso.