Venti anni dopo, una occasione persa. La conferenza Rio +20 chiude senza che si trovi la volontà di approvare una dichiarazione politica che almeno in parte mitighi la pochezza dei 238 paragrafi del documento “il fiuturo che vogliamo”, che ne costiturà la fragile eredità: non disprezzabile e spesso buono nei principi, ma totalmente mancante di ambizione nei fatti concreti. Restano i 683 impegno concreti annunciati da paesi e aziende, tra i quali la volontà della Germania e del Giappone di mettersi alla guida della rivoluzione costituita dalla Green Economy. Ma per averli, e per avere conferme della determinazione di Berlino e Pechino non serviva certo un circo barnum che si dipana lungo due anni e che _ stime Wwf international _ è costato la bellezza di 150 milioni di dollari. Visti i risultati, una vergogna.

Gli ambientalisti, che nei giorni scorsi avevano criticato senza appello il testo, ora cercano di guardarsene oltre. “Era una conferenza sulla vita _ osserva Jim Leape, direttore generale del Wwf International _  sulle future generazioni; sulle foreste, gli oceani, i fiumi e i laghi da cui tutti noi dipendiamo per avere cibo, acqua ed energia. Era una conferenza per affrontare la pressante sfida di costruire un futuro che ci possa sostenere”.  “I leader del pianeta riuniti a Rio _ prosegue _ hanno perso di vista questa urgente motivazione. Ma l’urgenza di agire non e’ cambiata. La buona notizia e’ che lo sviluppo sostenibile e’ una pianta che ha messo radici; crescera’ nonostante la debole leadership politica qui a Rio. Abbiamo visto dei leader farsi avanti, semplicemente non e’ stato nell’ambito dei negoziati: un’emozionante leadership cresce nelle comunita’, nelle citta’, nei governi e nelle imprese che stanno gettando le fondamenta per proteggere l’ambiente, alleviare la poverta’ e portare il pianeta verso un futuro piu’ sostenibile”. “Abbiamo bisogno di azione ovunque- ha proseguito Leape- da individui, villaggi, citta’, paesi, piccole e grandi imprese e movimenti e organizzazioni della societa’ civile. Dobbiamo tutti prenderci la responsabilita’ che i leader del pianeta hanno fallito a Rio. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi e sperare che siano utili ad aprire lo spazio politico, per portare a termina un processo multilaterale come Rio+20”.

“Rio +20 _ osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente _ è stato un vertice caratterizzato da una mancanza assoluta di leadership poltica che ha prodotto un documento debolissimo, che non contiene nessun tipo di impegno concreto, in particolare per quanto riguarda l’impegno finanziario ai paesi poveri, per sostenere una economia verde ecqua e solidale.L’unica nota positiva è la forte vitalità della società civile e la dinamicità di un pezzo non trascurabile delle imprese, che creano le condizioni per l’avvio di una forte mobilitazione verso un’economia verde equa e solidale, con cui combattere anche la povertà. Per il resto, il fallimento è triste anche se era prevedibile”.

Da parte sua il ministro dell’Ambiente Corrado Clini difende a spada tratta i risultati di Rio+20. “In un momento di crisi economica cosi’ profonda, che la comunita’ internazionale si ritrovi su un unico documento e’ davvero un fatto storico” commenta Clini che aggiunge: “non capisco come possano continuare a girare commenti delusi e negativi”. Si tratta di un buon risultato, “perche’ c’e’ la convergenza dei paesi cosiddetti maggiormente sviluppati come Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone e delle grandi economie emergenti a cominciare dal Brasile”. Ma le associazioni ambientaliste non ci stanno e parlano di un generale fallimento dei negoziati. “Non sono d’accordo con loro perche’ non sanno esattamente di cosa stanno parlando. Che cosa si aspettavano? Che qui a Rio decidessimo di chiudere i pozzi di petrolio?” Per il ministro “e’ veramente incomprensibile questa critica. Quello che abbiamo fatto a Rio e’ un miracolo. E’ la base per cominciare un lavoro nei prossimi mesi proprio per far diventare la green economy l’infrastruttura della crescita del pianeta”. Alle associazioni ambientaliste, dunque, Clini risponde: “l’opzione era avere un accordo a Rio per lanciare la green economy a livello globale oppure non avere un accordo. Questo deve essere chiaro”. Anche perche’ “non c’era un accordo migliore di questo”.

“La sua visione _ replica il senatore Francesco Ferrante, responsabile energia e clima del Pd e unico parlamentare italiano alla conferenza _ è troppo ottimistica. Clini si basa solo sgli accordi volontari o bilaterali e invece la sfida che abbiamo di fronte richiede un governo collettivo e accordi multlaterali”.

Va detto che in plenaria il ministro Clini mitigherà un pò la sua lettura ottimista. ”Come qualsiasi altra soluzione di compromesso, ogni paese o gruppo di paesi può giudicare un parziale successo o un fallimento parziale”, ha detto Clini sottolineando che l’Italia preferisce vederlo con un capitolo che si e’ rinnovato e da sviluppare ulteriormente nei prossimi anni. ”Le riforme strutturali e la revisione politica globale – ha detto il ministro – può sembrare una strada onerosa nel breve periodo, ma nel lungo periodo possono fornire opportunità senza precedenti per affrontare la poverà  e di transizione verso una crescita economica sostenibile, preservando le risorse naturali e promuovendo l’equità sociale. Queste sono opportunità da non perdere”. E, ha proseguito, ”data l’entità e le caratteristiche di questa sfida, crediamo fortemente che il ruolo del settore privato saà di importanza cruciale”.

E questo c’è da sperare. Che nell’assenza di voltà politica degli stati, nella mancanza di leadership dei capi di Stato e di Governo possano sopperire il settore privato e la cosiddetta società civile.

“Il fallimento di Rio+20 _ osserva Elisa Bacciotti, direttrice campagne di Oxfam Italia _ darà nuova linfa alla crescente insicurezza e rabbia delle persone. Come Oxfam continueremo a stare al fianco dei nostri partner e alleati per trasformare questa rabbia in una irresistibile domanda di cambiamento”