qaedaLa bandiera nera di al Qaida torna a sventolare su Falluja. La città irachena che nel novembre-dicembre 2004 fu teatro della più furioso combattimento urbano mai fatto dai marines dai tempi della battaglia di Hue, in Vietnam (1968), e la cui liberazione costò agli americani 95 morti e 564 feriti a fronte dei 1200-1500 morti tra gli insorgenti e che vide gli americani messi sotto accusa per l’utilizzo di proiettili al fosforo bianco, torna a essere contesa dal peggior fondamentalismo.
Cacciati dalla provincia di al Anbar nel 2007-2009 dal “risveglio” sunnita delle milizie armate promosse e finanziate dagli americani, con l’addio degli statunitensi all’Iraq i quaedisti sono filtrati a partire dall’inizio del 2012 provenendo dai loro santuari in Siria e hanno stabilito aree di fatto controllate da loro sia lungo la frontiera siriana che a nord di Ramadi e di Rawaa, poi a sud di Baghdad e sulle montagne tra Tikrit e Kirkuk. Da lì, specialmente nel 2013, hanno organizzato raid e attacchi suicidi, contrastati con sempre minore efficacia dall’esercito iracheno. Lo scontro aperto tra sunniti e governo a guida sciita ha fatto il resto.
Approfittando del fatto che le forze di sicurezza irachene mercoledì hanno lasciato Falluja e Ramadi per evitare di scontrarsi con le forze tribali sunnite determinate a far pagare al governo dello sciita al Maliki lo smantellamento, avvenuto lunedì scorso, di un campo di protesta antigovernativo, da giovedì i qaedisti hanno colmato il vuoto. I miliziani dell’Isil, “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”, a bordo di fuoristrada “tecniche” armate di mitragliatrici pesanti, hanno occupato gran parte di Falluja, entrando anche nella moschea durante la preghiera del venerdì e proclamando «lo stato islamico di Falluja». I quaedisti non sono invece riuciti ad occupare Ramadi, se non in alcune aree periferiche dove le milizie sunnite filogovernative Sawa hanno dato loro filo da torcere. Sono tre le forze che si combattono nella provincia di al Anbar: i quaedisti; le forze di sicurezza e le milizie sue alleate; le milizie sunnite del “consiglio militare delle tribù”. E nessuno ha la forza per prevalere.

«I qaedisti — osserva Francesco Tosato, analista militare del Cesi — possono contare su ingenti finanziamenti privati provenienti dall’area del Golfo e dalla tassazione delle aree che amministrano in Siria e acquistano armi sul mercato nero, che aggiungono a quelle razziate nei depositi siriani. Hanno poi miliziani esperti e possono contare su un malcontento sunnita che gli offre uno spazio di manovra. E quindi, sotto pressione in Siria, sono passati all’offensiva».
Venerdì nei combattimenti le vittime sono state almeno 118 (75 miliziani dell’Isil e 42 civili), ieri tra tra 65 e 80 a seconda delle fonti. Ma l’esercito iracheno si sta riorganizzando e ha iniziato a cannoneggiare Falluja, che è circondata, e ha intenzione di far entrare le forze speciali e le milizie Sawa. Riprenderemo Falluja, ha promesso il premier al Maliki. In suo aiuto gli americani stanno fornendo armi come i 75 missili <CF201>da attacco al suolo Hellfire, inviati prima di Natale e che verranno usati sui 3 Cessna Ac208 dell’aviazione irachena. Su Falluja si attende un inferno di fuoco. Il che significa che se la città martire e semidistrutta vedrà con ogni probabilità ammainare la bandiera quaedista, fatalmente avrà ancora tanti morti civili.

Se servisssero conferme che la seconda guerra del Golfo fu un dissennata avventura militare che produsse solo macerie, rimuovendo un dittatore ma distruggendo un paese, trasformandolo in preziosa palestra per i paladini del fondamentalismo jhadista e infine affidandolo all’influenza iraniana _ quindi un esercizio strategico dissennato anche per l’America _ questa è una altra prova. Complimenti George W.Bush.

4/1/2013 Quotidiano Nazionale