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La messa in sicurezza del territorio e’ una priorita’ per il Paese. E può diventare una preziosa opportunita’ di sviluppo economico.

In Italia – dati del ministero dell’Ambiente – il 9.8% della superficie e’ ad alta criticità idrogeologica. Qui vivono 5.8 milioni di persone, sorgono 1.2 milioni di edifici. Secondo uno studio Cnr/Protezione Civile dal 1960 e il 2012 frane e alluvioni hanno causato 7128 vittime. E danni che una ricerca Cresme/Ance stima in 61.5 miliardi di euro e l’Ordine dei Geologi in ben 3.5 miliardi all’anno.

Questo non accade per caso. L’italia e’ un paese geologicamente fragile (il 68% delle frane europee si verifica nel Belpaese), afflitto dalla piaga dell’abusivismo, molto urbanizzato (secondo l’Istat, dati 2012, il 7,3% del territorio e’ cementificato contro il 4.3% della media europea e il 6.4% atteso in relazione ala nosta densita’ demografica), con un uso che dal 2001 al 2011 e’ cresciuto dell’8.8%: ogni 5 mesi viene cementificata una superfice pari al comune di Napoli e ogni anno una superficie pari a quella di Milano e Firenze assieme. A questo si aggiungono lo spopolamento delle campagne (3 milioni di ettari coltivato persi negli ultimi 30 anni secondo Coldiretti) e gli effetti dei cambiamenti climatici, che gia oggi ha prodotto un aumento già evidente degli eventi piovosi intensi.

“Cambia il clima ma non cambia la politica – osserva Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera -. La revisione del patto di governo può essere l’occasione per dare finalmente alle politiche di manutenzione del territorio e messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente lo spazio che meritano, per una diversa idea di urbanizzazione, che abbia al centro la qualità, il recupero e la riqualificazione del costruito, capace di produrre occupazione legata al territorio”. Sinora di questa svolta non vi e’ traccia, anche questo esecutivo non ha mostrato il coraggio e la capacita’ di visione necessarie. Per capirsi: il Governo ha stanziato per la prevenzione idrogeologica appena 30 milioni per il 2014 (“Una provocazione” per Realacci) e 180 nel triennio. La commissione Ambiente, con una mozione unitaria ne aveva chiesti 500 all’anno.

Eppure sarebbero soldi spesi benissimo anche per riattivare il mercato interno, come dimostra in maniera adamantina la storia dei crediti d’imposta per le ristrutturazioni e l’ecobnonus per l’edilizia che nel 2013 ha prodotto 19 miliardi di investimenti e 280 mila posti di lavoro tra diretti e indotto.

Se a questo si unisse una legge per ridurre il consumo di suolo – in Parlamento ce ne sono due, una focalizzata sul consumo di suolo agricolo promossa dall’ex ministro delle Risorse Agricole Mario Catania e una proposta più ampia presentata da Realacci e una sessantina di parlamentari – il cerchio si completerebbe e potremmo avere più sicurezza contro le catastrofi idrogeologiche e più posti di lavoro, trasformando in tal modo un vincolo in una opportunita’. Altrimenti teniamoci frane e disoccupazione e non lamentiamoci.