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Un dito macchiato d’inchiostro come simbolo di libertà. Alla loro terza elezione presidenziale gli afghani non hanno cambiato idea. Si sono messi in fila a milioni sotto la pioggia di Kabul come ad Herat. A Kandahar nel Sud come a Mazar i Sharif nel Nord, a Jalalabad nell’Est, nel rovente Helmand e sotto le nicchie vuote dei Buddha di Bamyan, imperituro monumento alla follia talebana. La fine dei 12 anni di regno di Hamid Karzai autorizzavano molti a profetizzare il rischio di uno sfaldamento della fragile democrazia afghana, ma gli elettori hanno dato una risposta diversa: meglio un regime corrotto e una democrazia balbettante che un oscuro medioevo fondamentalista. Molto meglio.

A gridarlo sono gli oltre 7 milioni di voti, pari al 58% degli iscritti alle liste elettorali, espressi nei 6.770 seggi sparsi nel paese. Per il 64% sono uomini ma nelle città la percentuale delle donne è stata altissima. Il solo problema è che in molti seggi sono mancate le schede, sulle quali si è lesinato temendo brogli. Certo, l’affluenza è stata molto inferiore al 76.9% delle elezioni del 2004, ma quelli erano altri tempi e quasi senza talebani. Il paragone vero era con le presidenziali del 2009 e il risultato è più che lusinghiero. Allora i votanti furono 4.597.727, pari al 31,4% e si registrarono circa 400 attacchi talebani (“il giorno più violento da 15 anni” secondo il rapporto Onu/Unama), stavolta alle urne è andato il 60-66% più elettori e il numero degli attacchi _ 140 secondo il governo _ è enormemente inferiore e sono rimasti chiusi “solo” 959 seggi. Ci sono state bombe a Logar e a Zabul, attentatori suicidi sono stati uccisi a Ghazni e Khost, razzi lanciato in tre distretti a Kandahar, bombe piazzate a Kabul e scontri tra forze di sicurezza e talebani. Ma il bilancio dice tutto: son morti 9 poliziotti, 7 militari e 4 civili a fronte di 101 talebani uccisi (54 dei quali a Ghazni, 21 a Faryab, 16 nel Kunar e 8 a Farah più i due attentatori suicidi). E il tutto garantendo la sicurezza esclusivamente con le forze afghane, senza far ricorso ai militari Isaf. Se un raggiante presidente Karzai (“abbiamo dimostrato al mondo che questo è un paese guidato dal popolo”) ha esagerato con la retorica, è pur vero che è andata piuttosto bene.

E’ ancora presto per dire chi sarà il prossimo presidente afghano. Per il conteggio c’è tempo fino al 14 aprile, e visto che la scorsa volta furono annullati un milione di voti, i brogli attesi peseranno non poco sull’esito. Ma dalle primissime indicazioni che vengono dai seggi sembra confermata la tendenza al ballottaggio il 28 maggio. Se la giocano in tre: il tagiko Abdullah Abdullah, e due esponenti di etnia pashtun, l’ex ministro delle Finanze Asraf Ghani e l’ex ministro degli esteri Zalmai Rassoul. Uno di loro due resterà fuori. Ma quello che pare sicuro è che Karzai ha un margine di manovra ampio e non difetta di spregiudicatezza e manovrerà per far vincere il ballottaggio a chiunque emergerà come lo sfidante di Abdullah Abdullah.Da presidente in carica ha nominato la commissione elettorale centrale, ha in mano quelle provinciali. E l’Afghanistan non è la Svizzera.

Secondo i primi dati raccolti dal’agenzia Pajwok su un campione di 133.984 voti, in testa c’è Ashraf Ghani con il 42.2% seguito da Abdullah Abdullah con il 40,7% e Rassoul con un deludente 7,6%. La partita per il potere a Kabul è solo all’inizio, ma per ora, politicamente oltre che militarmente, c’è uno sconfitto, i talebani. Non male, dopotutto.